Ai pazienti una stimolazione cognitiva mirata al mantenimento e allo sviluppo delle abilità che ancora conservate
A Spinea (Venezia) il Caffè Alzheimer diventa un modello «da esportare» per prevenire la malattia «Tappare una buca in più o sistemare un tombino in più sarebbe stato più appariscente, ma credo sia importante investire sulla prevenzione dell’Alzheimer». Gianpietro Buiatti, assessore ai Servizi sociali di Spinea — un centro di poco meno di 30 mila abitanti in provincia di Venezia — ha aperto i cordoni della borsa in tempo di spending review e ha destinato 5 mila euro al progetto «Caffè Alzheimer», che nasce dalla collaborazione tra il Comune, l’azienda sanitaria e la Cooperativa Linte di Vicenza. Un progetto che pur nell’esiguità delle risorse a disposizione è all’avanguardia nel panorama nazionale, per approccio scientifico e per organizzazione.
SOCIALITA’ E NON SOLO - «Con un investimento tutto sommato modesto siamo riusciti a realizzare una vera sussidiarietà orizzontale — prosegue l’assessore Buiatti — con beneficio per i pazienti, per le famiglie, per il sistema sanitario. E se noi nel piccolo l’abbiamo fatto, perché non provare a realizzarlo a livello nazionale?». Ma in cosa consiste il progetto di Spinea? «Di caffè Alzheimer si sente parlare sempre più spesso — spiega Cristina Basso, geriatra territoriale di riferimento —. In questo caso però, oltre alla socialità, noi forniamo ai pazienti con un grado di malattia moderato una stimolazione cognitiva mirata al mantenimento e allo sviluppo delle abilità che ancora in parte sono conservate. Questo per potenziare la loro autonomia e rallentare l’inevitabile e progressivo declino cognitivo, che poi sfocia nella disabilità».
IL MODELLO - Il progetto di Spinea propone un modello operativo innovativo — spiega la responsabile della Cooperativa Linte, Arianna Ferrari — perché dà una risposta pratica alla necessità di presa in carico globale della demenza, una malattia che coinvolge non solo l’ambito sanitario, ma anche quello familiare e sociale. Per questo è preferibile la collaborazione tra servizio sanitario nazionale, ente locale e terzo settore, come avviene in questo caso. Il progetto è partito il 18 febbraio scorso e si concluderà a fine anno. Per ora coinvolge una quindicina di pazienti e una ventina di familiari. Sono due, infatti, i percorsi in cui è articolato: uno destinato alle persone affette da demenza, che consiste in laboratori settimanali della durata di tre ore (con valutazioni neuropsicologiche e funzionali all’inizio e alla fine del trattamento) e uno destinato ai familiari, che ha come obiettivo far comprendere cosa implichi la malattia e aiutare l’elaborazione del vissuto psicologico. «Perché ciò che i familiari sentono come urgenza nel loro nuovo compito di “prendersi cura” fin dalla diagnosi — spiega Federica Cozzi, psicologa e psicoterapeuta della Cooperativa Linte — è da un lato conoscere l’Alzheimer e il suo decorso, dall’altro avere un sostegno psicologico».
GLI OBIETTIVI - L’obiettivo è un miglioramento della qualità della vita del malato e della sua famiglia. «Altra ricaduta — sottolinea Elisa Favaretto, assistente sociale referente del progetto — è la promozione di una cultura di contrasto attivo alla malattia: ci si focalizza su quelle capacità che il paziente ancora possiede invece di porre l’accento solo su quelle perse, superando così l’approccio puramente assistenziale». Un’altra conseguenza è che «si previene il ricorso precoce a strutture residenziali — conclude la geriatra —. Il paziente che può essere seguito a casa propria fa risparmiare il sistema sanitario. Ma soprattutto, stimolando l’autonomia sociale e funzionale, il Caffè Alzheimer permette di restituire al paziente la dignità di persona».
Fonte Corriere Salute