Caffè Aragno: echi letterari dispersi nel corso del fast food

Creato il 20 gennaio 2011 da Sulromanzo

Spizzico fast food e Caffè Aragno uniti. Abominio, lo so. Scempio culturale, lo so. Ma accade.

In via del Corso n° 180-1 a Roma. Uno dei caffè letterari più famosi in tutta Italia. Ricordato come Caffè Nazionale nel 1882, immortalato da Matilde Serao nel 1885 in “La conquista di Roma” grazie a un flash di parole arcobaleno, generate dai larghi cristalli che splendevano nelle stanze, il Caffè Aragno è stato anche “cuore di Roma” secondo Émile Zola, nonché teatro del famosissimo schiaffo di Bontempelli a Ungaretti. Senza contare i vortici del movimento Futurista e le accesissime discussioni sul fascismo. Tutto questo tramutato in un pit-stop Autogrill per i turisti del centro romano.

Non ci volevo credere! Mi dicevo: ci sarà un errore, avrò sbagliato indirizzo!

Mi aspettavo un locale simile al Florian veneziano, magari senza supplemento orchestra.

Nella mia immaginazione mi vedevo armata di taccuino e matita, pronta ad investire venti euro per un cappuccino identico a quello sorseggiato da Bruno Barilli all’epoca.

Avevo programmato d’andarci sul presto, nel periodo natalizio. Il Corso e il centro di Roma mostrano il meglio di sé ammantati di rosso, led e cotone finto neve. Non vedevo l’ora di vivere sulla mia pelle l’emozione dell’onda di artisti che riempie i locali del Caffè Aragno, creativa e intensa.

Qualcuno mi avrebbe parlato di Leopardi in una maniera diversa, capace di emozionarmi, stizzirmi oppure commuovermi? Speravo di poter attingere la mia penna nello stesso influsso vitale e rigeneratore che aveva infilzato tanti dei suoi protagonisti. Sognando ad occhi aperti, prima ancora di aprire Google map e realizzare la diversa consistenza della realtà, annusavo con la mente l’aroma di legno antico.

Mi sarei forse accomodata sul famosissimo divano in pelle gialla, pregna dell’acre odore di tabacco? Sarei diventata frequentatrice della terza saletta, viaggiando nel tempo al solo sedermi, quasi come fosse un tuffo fra pagine di storia e poesia, con biglietto in prima classe, senza ritorno se non in volo, fra le lande sconfinate della letteratura? Mi sarei divertita ascoltando battibecchi e bisticci degli odierni letterati o pittori, magari partecipando previo poi mordermi la lingua fra i denti? Avrei trovato la pagina incorniciata dell’edizione speciale del Messaggero di Pannunzio, che per primo raccontò la caduta di Mussolini?

Mi sarebbe piaciuto tantissimo. Scossa dall’impazienza mi chiedevo anche se avrei avuto la fortuna di toccare con mano qualche libro dell’epoca, magari firmato Pirandello oppure Longhi.

Non volevo arrendermi. Le parole di Morgan Palmas, “Guarda che è tutto cambiato!”, avevano un suono così “stonato”. Assurdo, pensavo. Perché mai, per quale ragione un locale storico e artistico così importante dovrebbe essere stravolto? Poco importa che siano stati mantenuti alcuni affreschi dell’epoca.

Trovarmi in una sorta di pizzeria al taglio, mezzo paninoteca, mezzo bar alla bell’e meglio, nei luoghi in cui si discuteva e si creava “La Ronda”, rivista letteraria pubblicata tra il 1919 e il 1923, è stato significativamente scioccante. Perché? Perché accade questo, perché simboli pregni di ricordi devono essere rasi al suolo? L’Aragno attuale lo potete immaginare benissimo, semplicemente ripescando nei ricordi dei vostri viaggi in autostrada. Non è la prima volta, tuttavia, che cambia sostanza e, mi auguro, non sarà nemmeno l’ultima.

Il Caffè Aragno ha superato indenne il rischio di demolizione nel 1883, la bomba esplosa nel 1906, l’avvento del fascismo, il rinnovo del 1932 e la cessione all’Alemagna nel 1955.

Vincenzo Cardarelli, una delle penne di spicco di “La Ronda”, ricordava così questo caffè d’epoca: “Si entrava sovversivi e se ne usciva conservatori arrabbiati e nazionalisti, dannunziani e colonialisti”.

Oscar Wilde nel 1900 visse quest’avventura, com’è ricordata nel libro “Roma – Guida Letteraria”: “mi trovavo davanti al Caffè Nazionale e prendevo una granita di caffè (…) quando passò il Re in carrozza. Io immediatamente mi sono alzato e gli ho rivolto un profondo inchino, col cappello in mano (…). Fu solo dopo il passaggio del Re che ricordai di essere papista e nerissimo!”.


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