Dove sei, cagna?
È che non trovo la musica giusta, quella, per intenderci, capace di liberarmi la scimmia.
Guardo l'orologio anche se il tempo non mi ha mai ossessionato. Lo guardo e pare guardarmi anche lui. Ci guardiamo.
Poi mi osservo le dita e vedo che ho le unghie lunghe. Penso che prima di andare a letto me le dovrei tagliare. Non uso le forbicine. Uso il tagliaunghie e mi piace che le unghie schizzano dappertutto per il bagno. Poi m'incazzo se la mattina ne pesto una col piede scalzo. Dormo solo con un calzino e l'altro piede lo lascio come mamma me lo ha fatto.
Dormo così, c'è poco da fare, nudo e con un solo calzino. Preferisco coprire il piede sinistro.
Eppure stamani ero ispirato, m'ero appuntato anche alcune parole per scriverci un racconto.
Frugo in tasca dei pantaloni. Ci trovo uno scontrino, un accendino rosso, un lapis Ikea, 40 centesimi, del tabacco, le chiavi di bottega, quelle della macchina e nient'altro.
Del fogliettino sul quale avevo appuntato l'idea non c'è traccia. Porco cane.
Stamani al lavoro ero depresso. Non avevo voglia di sorridere e servire gente.
Avevo solo voglia di scrivere. La signora Rossi se n'è accorta e mi ha domandato se mi sentivo male.
Le ho risposto che avevo solo sonno. In effetti avevo anche sonno, ma ancora di più volevo starmene a casa a scrivere.
Negli ultimi tempi sto scrivendo poco. Scrivo tutti i giorni ma poco, roba come due o trecento parole e nulla di più. Sto perdendo il ritmo, ecco, del ritmo sono ossessionato, di tutti i ritmi.
Apro un libro a caso dalla libreria.
“Neanche se avessi cento lingue e cento bocche e una voce di ferro potrei enumerare tutte le forme dei pazzi, passar in rassegna tutti i nomi assunti dalla Pazzia”.
Erasmo è troppo forte. Lo rimetto nella libreria.
Poi spengo il computer.
Vado a letto da vinto. Poi le unghie non me le sono tagliate.
Penso che forse il foglietto che cercavo è in tasca del giubbotto. Mi aggrappo a questa sottile speranza, non mi arrendo, ho la testa completamente vuota e forse quel foglietto può aiutarmi.
Mi alzo a vado a cercarlo. La mia ragazza russa come una dannata.
Non c'è nemmeno nel giubbotto.
Mi viene l'ansia, non è certo colpa del mancato ritrovamento dell'appunto, ho l'ansia perché non capisco dove diavolo sia andata quella cagna.
Eppure l'ora era quella giusta, quella che dà l'inizio al nuovo giorno.
E la casa era pulita.
Scrivo di notte dopo aver pulito casa, altrimenti non mi concentro.
Guardo nuovamente l'orologio, sono le una.
Stasera nulla, si fa passo e la cosa mi brucia da morire.
Vado in bagno a tagliarmi le unghie e mi rendo conto di avere davvero l'ansia.
Decido di vestirmi ed uscire.
Non sveglio quell'essere russante perché sennò si crede che vado a fare il ganzo con le ragazzine e mi rompe.
Mi chiedo come possa fare con un corpicino come il suo ad emettere un rumore così forte.
É tremendamente sproporzionato.
Mi pento subito di essere uscito, la nebbia è fitta e non si vede un cacchio nulla.
Ho messo le Converse e mi fa freddo ai piedi.
Attraverso i giardini col collo dentro le spalle.
Aggrovigliati come piante rampicanti ad un palo della luce, due ragazzini stanno limonando con passione.
Ora la ragazzetta bionda è a cavalcioni sul ragazzo e i due si muovono lentamente e con costanza. Bravi, penso che fanno bene.
Attraverso la strada.
Cammino sul marciapiede e le mattonelle mal fissate a terra producono una strana melodia.
Sembra di camminare su una pianola metropolitana.
Ad un certo punto torno anche indietro per pestare con la punta del piede sinistro uno strano tasto dal suono tutto particolare.
Bello, la cosa mi gasa e aumento i passi: c'è un bel ritmo.
Sotto il giubbotto ho ancora la maglia del pigiama.
Mi ritrovo all'angolo di una strada e vedo che c'è un locale aperto.
La musica che vi proviene sembra ovattata dalla nebbia.
Mi avvicino. Un gruppetto di tipi tutti molleggiati se ne sta davanti alla porta a fumare. Chiedo una sigaretta. Un galletto con la cresta rossa me ne dà una e mi fa pure accendere. Penso che è gentile.
Finisco la sigaretta, la butto ed entro.
Le luci sono basse e strane scritte tappezzano le pareti amaranto. C'è davvero una bella musica.
C'è profumo d'incenso, al bar ci sono giovani bariste che ballano e preparano colorati intrugli.
Mi avvicino alla consolle dove una scatenato mette i dischi e tiene il ritmo con la testa pelata.
Ci saranno cento persone.
Quella melodia mi avvolge e mi coinvolge, con la mano sinistra che muovo a mezz'aria seguo il tempo.
Un tizio mi dà una pacca sulla spalla e mi porge il suo bicchiere, mi sorride e mi dice di bere.
Bevo e lo ringrazio.
Ho caldo ma non posso togliermi il giubbotto.
Noto una ragazza con un culo delizioso che muove i fianchi come una dea, ha i capelli ricci e biondi che arrivano poco sotto le sue spalle minute. Ha una maglietta grigia, una gonna nera, degli stivali di un colore indistinguibile e un culo da sogno.
Un ragazzo mi porge ancora da bere, non conosco nessuno ma mi sento a casa.
La musica è potente e veloce.
Tutti si vogliono bene. Vorrei prendere qualcosa da bere tutto per me, ma mi rendo conto di non avere soldi.
Poi magicamente mi trovo in tasca un pezzo da cinque e decido di spenderlo per una birra.
Non mi viene in mente niente di poetico, nessuno spunto per scrivere, nulla di nulla. Però non ho più l'ansia.
Mi siedo. Una ragazza si siede al mio fianco e porgendomi la mano dice di chiamarsi Olga.
É la ragazza che si muoveva come una dea, quella col culo perfetto.
È davvero carina. Ha gli occhi verdi e gli stivali grigio topo. Le rispondo dicendole che sono Pino.
Mi piace inventarmi i nomi e fare il coglione con le persone che non conosco. Mi piace mettermi un numero illimitato di maschere, è un po' come abitare lo stesso corpo e far vivere tutti i propri sé quando uno vuole. Lo faccio spesso. Direi che è il mio passatempo preferito.
Mi dice che studia moda.
Le dico che il termine moda deriva dal latino modus, che significa melodia, maniera, tono, tempo, ritmo.
Mi guarda sorpresa.
Mi chiedo che cosa caspita abbia studiato.
Le dico anche che il primo ad usare il termine moda con il significato attuale fu un abate in un trattato del 1600 e rotti.
Mi sorride mostrandomi tutti i denti bianchi e piccini, poi mi dice: -ma allora sei uno studente di storia!
Grattandomi la testa riccioluta le dico una mezza verità:- no! Sono Pino e faccio il salumiere.
Non ci crede, e giocherellando col bottone del mio giubbotto fa una stupida vocina da bambina demente e mi dice di non prenderla in giro.
È ritardata, ne ho la conferma.
La lascio con una stupida scusa e mi dileguo verso il bagno.
La gente balla anche nel bagno, anche mentre orina. Ai lati del water c'è un centimetro andante di piscia.
Esco dal bagno e dal locale, ho ancora la birra in mano e la bevo in un sorso.
Il bicchiere penso di portarmelo a casa, di lavarlo e metterci l'acqua per la notte. È bello capiente. Un bicchiere normale non mi basta mai.
Quella cagna non era nemmeno lì, non era a farsi offrire da bere da tizi sconosciuti, non è stata a pisciare sul pavimento, non ha conosciuto Olga.
Torno verso casa.
Con la nebbia perdo un po' l'orientamento. Mi accorgo di non avere le chiavi. Sono uscito di casa proprio come un cane. Sulla panchina i due che facevano petting non ci sono più. Forse lui è venuto.
Arrivo davanti al portone, ho la chiave di scorta nella cassetta della posta e la inserisco nella toppa cercando di non fare tanto rumore.
Tolgo le scarpe per attutire il rumore dei miei passi.
Dalla camera proviene musica di sonno profondo.
Mi metto alla scrivania e decido di scrivere per forza.
Ma il foglio bianco mi mette in soggezione e il cursore lampeggia con una cadenza regolare che mi dà sui nervi.
Mi viene da pensare a quella tipa che dice di studiare moda, carina sì, ma non basta per conoscere il mio vero nome. Non lo vado a dire in giro a tutti i ritardati che incontro.
Olga, la santa idiota col culo benedetto.
Sono ormai le tre del mattino.
Mi arrendo.
Quella cagna aveva bisogno di starmi distante per un po', di disintossicarsi.
Chissà dove diavolo è adesso, chissà se tutte le cagne, stasera, si son prese una pausa dagli uomini della terra e hanno deciso che il 31 gennaio è il loro giorno di riposo.
Saranno forse in sciopero?
Se almeno ci fosse un sindacalista domanderei a lui.
Andarsene così, senza dire nulla, non va bene.
Quando torna deve chiedermi perdono, deve scusarsi in ginocchio e deve farmi scrivere qualcosa di forte.
E se domani non torna? Se sta con qualcuno per un po' e poi se ne va all'improvviso?
Voglio, se torna, che chieda alla lampadina che adesso è al mio fianco quanto sono stato male.
Cagna, dove sei?
La disperazione prende il sopravvento.
Mi spoglio tutto e per cambiare decido di lasciarmi il calzino destro.
Abbraccio il corpo russante e provo a dormire, a lasciarmi cullare da quella sua melodia.
Cerco di non pensare al fatto che mia amante è andata via senza dirmi nulla.
Non dirò nulla alla mia fidanzata, mi prenderebbe per pazzo.