Calafrica, la punta dello stivale dove si annida nefasta la puzza delle male azioni di pochi che hanno infangato le speranze e spezzato i sogni di tanti. Calafrica, il confine , terra di mezzo ignorata , sfruttata (chi la conosce, per esempio, la storia siderurgica di Mongiana?) e derubata, abbandonata a se stessa e al malaffare di coloro che prendono perché possono, perché gli è consentito.
Calafrica terra, per la stampa, di delinquenti incalliti e criminalità radicata, mai di gente per bene che lotta per sopravvivere. E se quaggiù stanno rischiando il posto un centinaio di persone, i giornali non se ne occupano. A chi importa? “Inoperosi come sono se lo meritano”.
E ti viene voglia di urlare a squarciagola a costo di perdere la voce. Ci siamo anche noi!!! Non abbiamo trasporti pubblici, la sanità è agonizzante da tempo, a Mormanno c’è il terremoto da due anni, se piove le montagne si muovono e si portano via case e persone, non c’è lavoro e i nostri giovani fuggono via portandosi dietro la loro freschezza e la loro intelligenza. I vecchi si privano dell’indispensabile pur di farli fuggire…
Calafrica è anche la terra di Riace dove il Sindaco trasforma il borgo morente in comunità di accoglienza per immigrati perché noi che non abbiamo, per conformazione naturale siamo abituati a dare. Calafrica è la terra di San Francesco, il patrono venerato e temuto, che s’infuriava brandendo il bastone contro gli ingenerosi. Calafrica è la terra del giudice Scopelliti freddato per aver provato a cambiare, ad attenuare le fiamme dell’inferno…
Calafrica è la mia bellissima e sfortunata terra…
La prima cosa che ti viene in mente è il mare che non è più quello di quando ero bambina o di quando lo era mia madre o quello che mi raccontava mia nonna- una volta ne usavano l’acqua limpida per impastare il pane, ora le pagnotte risulterebbero indigeste… – ma che, nonostante tutto rimane splendido. E le montagne e i giganti della Sila: per arrivare a scorgerne la cima ti devi stirare il collo. E le cipolle di Tropea, i pomodori di Belmonte, le clementine e le arance di Rosarno e Corigliano, il bergamotto, le olive, i peperoncini di Diamante, perfino i cedri dell’omonima Riviera che anche i rabbini israeliani vengono a staccare personalmente dagli alberelli spinosi. E c’è la gente, testarda e cocciuta, onesta (si, Onesta) e tenace, forte e generosa. ..
Calafrica , terra di conquista e conquistati, afflitti e disperati, è anche la terra dei miei nipotini nati e residenti in Campania che, a chi gli chiede di dove sono, rispondono con l’orgoglio dell’ingenuità, a testa alta e gli occhi che brillano: “Siamo calabresi”… e io mi commuovo.
Foto by Chiara Rozera