Ma allora c'è stata o non c'è stata, la rinascita del calcio italiano di club nelle competizioni europee? D'accordo, l'impresa della Juve, che però non ha commosso chi, appunto, sostiene che il pallone tricolore sia solo e soltanto la Vecchia Signora, e dietro di lei il vuoto più o meno assoluto. E poi gli ultimi flash lasciatici in eredità dalla settimana di Coppe hanno immortalato la resa senza condizioni della Fiorentina e, soprattutto, il disastro Napoli, fiaccato dall'ultracatenaccio ucraino e dalla propria insipienza, tattica e di gioco.Tuttavia, penso che non sia proprio il caso di fare gli schizzinosi. Veniamo da un lustro di raccapricciante oscurantismo, illuminato solo, un anno fa, da un una semifinale di EL raggiunta dalla solita Armata bianconera, che però sembrò più che altro una colossale occasione mancata, visto che la finale si sarebbe giocata proprio nello stadio di casa dei pluricampioni d'Italia. Possiamo pure parlare di "ripresina", mutuando un ipocrita termine usato spesso in passato da certi nostri politicanti, ma, fatta la dovuta tara alle amarezze del giovedì appena trascorso, non si può non considerare positivo il bilancio di questa annata. Un quadriennio di fallimenti continentali, si diceva, e la Nazionale di Prandelli rasa al suolo dal disastro brasiliano: per il football di casa nostra si trattava dell'anno zero, e in realtà non si intravedevano neppure le premesse di una risalita, visto che l'estate 2014 ci aveva proposto eventi non propriamente edificanti, come l'elezione di Tavecchio al soglio FIGC e i nostri club che avevano ripreso la consueta razzia di mezze figure sul mercato estero, ignorando i migliori prospetti indigeni.Così, questa stagione 2014/15 è sbocciata come un fiore nel deserto: soprattutto perché le nostre società hanno finalmente compreso quanti danni abbia provocato al movimento (leggasi: crollo nel ranking UEFA) l'aver snobbato per troppo tempo l'Europa League. Modus operandi fondato oltretutto su una convinzione sostanzialmente errata, ossia che puntare sul trofeo internazionale potesse causare sonori crolli sul fronte interno. Cosa avvenuta rare volte in passato, e magari per motivi del tutto diversi (la Samp passò dai preliminari di Champions all'EL e infine alla Serie B per altre questioni, ad esempio), mentre quest'anno abbiamo assistito al brillante comportamento del Torino, spintosi fino agli ottavi di EL e, fino a una settimana fa, baldanzoso e in lizza per un nuovo piazzamento europeo. Abbiamo portato cinque nostre rappresentanti agli ottavi della seconda coppa, e due fino alle semifinali: il derby conclusivo a Varsavia era alla portata, ma l'illusione svanita non deve far dimenticare quanto di buono fatto in precedenza. E ricordiamo che la Fiorentina, nella semifinale col Siviglia, ha giocato per un tempo, il primo dell'andata, completamente alla pari coi quotatissimi rivali, pagando però a carissimo prezzo un difetto già evidenziato nei turni precedenti: l'incapacità di concretizzare l'enorme mole di gioco e di occasioni create; può andarti bene contro la Dinamo Kiev, ma contro gli spagnoli paghi pegno. Riguardo al Napoli, la doppia semifinale è stata in fondo lo specchio di una stagione balorda, nata male e sviluppatasi lungo sentieri tortuosi: una squadra indebolita rispetto all'annata precedente, che ha proceduto a strappi ma senza mai trovare una apprezzabile continuità, infine arenatasi contro lo scoglio di un Dnipro nettamente inferiore sul piano della classe pura, ma tatticamente impeccabile (e chiuso a doppia mandata), nonché motivatissimo. Contro compagini che fanno tale densità difensiva risulta difficile manovrare in maniera fluida e creare costante pericolosità, ma di certo i partenopei ci hanno messo del loro, mostrando prevedibilità, lentezza, imprecisione. Un vero peccato, e tuttavia va tenuto a mente che, nonostante le lacune del team di Benitez, alla fine a decidere la qualificazione è stata anche una clamorosa svista arbitrale, visto il gol in offside degli ucraini al San Paolo.Il mancato raggiungimento della finale di EL è stato ampiamente compensato dall'incredibile cavalcata juventina nella Coppa regina. Anche perché l'approdo a Berlino di Tevez e compagni è assai più sintomatico di una parziale ripresa (ripresina, appunto) del nostro asfittico football dopo le magre degli ultimi anni: Napoli e/o Fiorentina all'atto conclusivo dell'ex UEFA avrebbero avuto effetti benefici sul ranking, senza però dire alcunché sullo stato di salute del nostro movimento, trattandosi di compagini che puntano quasi esclusivamente su elementi di fuorivia, La Signora, invece, ha un cuore prettamente italiano, un nucleo azzurro di veterani (Buffon, Pirlo, Chiellini), di gente "a metà del guado" (Bonucci, Marchisio), più un giovanissimo come Sturaro che è risultato fondamentale nel match di Torino col Real Madrid, dando sostanza al reparto di mezzo e sfoderando una inattesa personalità. La qualificazione della compagine di Allegri è stata nel complesso meritata: al Bernabeu ha dato perfino l'impressione di aver fatto il colpo senza attingere al pieno delle proprie potenzialità, ha ben contenuto le Merengues, che hanno sprecato un discreto numero di palle gol ma anche corso più di un rischio. Peccato che una tale impresa sia stata macchiata dall'atteggiamento di Morata, che ha realizzato due gol pesantissimi fra andata e ritorno senza esultare, rovinando così parzialmente i due momenti più belli della sua finora breve carriera in omaggio al'ottusa consuetudine del "rispetto per la ex squadra". Ma tutto passa in cavalleria di fronte all'obiettivo centrato. Né si può dire che contro il Barcellona non vi siano chances per la nostra rappresentante, perché in partita singola può accadere di tutto. Tornando al consuntivo stagionale, se la squadra che esprime il meglio del prodotto interno lordo calcistico approda alla finale di Champions vuol dire che una crescita vi è stata; se altri due club, pur zeppi di stranieri, hanno sfiorato l'atto conclusivo di EL, va apprezzato il cambio di mentalità nell'approccio alla seconda competizione continentale, a dimostrazione che i continui fallimenti degli ultimi anni non sempre (anzi, quasi mai) erano stati dovuti a una effettiva inferiorità delle nostre squadre al cospetto di quelle estere. Dopodiché, certo, la strada è ancora lunga, e tante le soluzioni da adottare affinché questi exploit non si rivelino effimeri. Soluzioni che sono state già indicate più volte in questo blog, e sono comunque sotto gli occhi di tutti: visto che qualcosa si è mosso, è forse tempo di essere un po' più ottimisti e di auspicare un'autentica inversione di tendenza. Intanto, il ranking ha ripreso parzialmente a sorridere: non può piovere per sempre.
Calcio italiano in "ripresina": a berlino una juve dal cuore tricolore
Creato il 16 maggio 2015 da CarlocaMa allora c'è stata o non c'è stata, la rinascita del calcio italiano di club nelle competizioni europee? D'accordo, l'impresa della Juve, che però non ha commosso chi, appunto, sostiene che il pallone tricolore sia solo e soltanto la Vecchia Signora, e dietro di lei il vuoto più o meno assoluto. E poi gli ultimi flash lasciatici in eredità dalla settimana di Coppe hanno immortalato la resa senza condizioni della Fiorentina e, soprattutto, il disastro Napoli, fiaccato dall'ultracatenaccio ucraino e dalla propria insipienza, tattica e di gioco.Tuttavia, penso che non sia proprio il caso di fare gli schizzinosi. Veniamo da un lustro di raccapricciante oscurantismo, illuminato solo, un anno fa, da un una semifinale di EL raggiunta dalla solita Armata bianconera, che però sembrò più che altro una colossale occasione mancata, visto che la finale si sarebbe giocata proprio nello stadio di casa dei pluricampioni d'Italia. Possiamo pure parlare di "ripresina", mutuando un ipocrita termine usato spesso in passato da certi nostri politicanti, ma, fatta la dovuta tara alle amarezze del giovedì appena trascorso, non si può non considerare positivo il bilancio di questa annata. Un quadriennio di fallimenti continentali, si diceva, e la Nazionale di Prandelli rasa al suolo dal disastro brasiliano: per il football di casa nostra si trattava dell'anno zero, e in realtà non si intravedevano neppure le premesse di una risalita, visto che l'estate 2014 ci aveva proposto eventi non propriamente edificanti, come l'elezione di Tavecchio al soglio FIGC e i nostri club che avevano ripreso la consueta razzia di mezze figure sul mercato estero, ignorando i migliori prospetti indigeni.Così, questa stagione 2014/15 è sbocciata come un fiore nel deserto: soprattutto perché le nostre società hanno finalmente compreso quanti danni abbia provocato al movimento (leggasi: crollo nel ranking UEFA) l'aver snobbato per troppo tempo l'Europa League. Modus operandi fondato oltretutto su una convinzione sostanzialmente errata, ossia che puntare sul trofeo internazionale potesse causare sonori crolli sul fronte interno. Cosa avvenuta rare volte in passato, e magari per motivi del tutto diversi (la Samp passò dai preliminari di Champions all'EL e infine alla Serie B per altre questioni, ad esempio), mentre quest'anno abbiamo assistito al brillante comportamento del Torino, spintosi fino agli ottavi di EL e, fino a una settimana fa, baldanzoso e in lizza per un nuovo piazzamento europeo. Abbiamo portato cinque nostre rappresentanti agli ottavi della seconda coppa, e due fino alle semifinali: il derby conclusivo a Varsavia era alla portata, ma l'illusione svanita non deve far dimenticare quanto di buono fatto in precedenza. E ricordiamo che la Fiorentina, nella semifinale col Siviglia, ha giocato per un tempo, il primo dell'andata, completamente alla pari coi quotatissimi rivali, pagando però a carissimo prezzo un difetto già evidenziato nei turni precedenti: l'incapacità di concretizzare l'enorme mole di gioco e di occasioni create; può andarti bene contro la Dinamo Kiev, ma contro gli spagnoli paghi pegno. Riguardo al Napoli, la doppia semifinale è stata in fondo lo specchio di una stagione balorda, nata male e sviluppatasi lungo sentieri tortuosi: una squadra indebolita rispetto all'annata precedente, che ha proceduto a strappi ma senza mai trovare una apprezzabile continuità, infine arenatasi contro lo scoglio di un Dnipro nettamente inferiore sul piano della classe pura, ma tatticamente impeccabile (e chiuso a doppia mandata), nonché motivatissimo. Contro compagini che fanno tale densità difensiva risulta difficile manovrare in maniera fluida e creare costante pericolosità, ma di certo i partenopei ci hanno messo del loro, mostrando prevedibilità, lentezza, imprecisione. Un vero peccato, e tuttavia va tenuto a mente che, nonostante le lacune del team di Benitez, alla fine a decidere la qualificazione è stata anche una clamorosa svista arbitrale, visto il gol in offside degli ucraini al San Paolo.Il mancato raggiungimento della finale di EL è stato ampiamente compensato dall'incredibile cavalcata juventina nella Coppa regina. Anche perché l'approdo a Berlino di Tevez e compagni è assai più sintomatico di una parziale ripresa (ripresina, appunto) del nostro asfittico football dopo le magre degli ultimi anni: Napoli e/o Fiorentina all'atto conclusivo dell'ex UEFA avrebbero avuto effetti benefici sul ranking, senza però dire alcunché sullo stato di salute del nostro movimento, trattandosi di compagini che puntano quasi esclusivamente su elementi di fuorivia, La Signora, invece, ha un cuore prettamente italiano, un nucleo azzurro di veterani (Buffon, Pirlo, Chiellini), di gente "a metà del guado" (Bonucci, Marchisio), più un giovanissimo come Sturaro che è risultato fondamentale nel match di Torino col Real Madrid, dando sostanza al reparto di mezzo e sfoderando una inattesa personalità. La qualificazione della compagine di Allegri è stata nel complesso meritata: al Bernabeu ha dato perfino l'impressione di aver fatto il colpo senza attingere al pieno delle proprie potenzialità, ha ben contenuto le Merengues, che hanno sprecato un discreto numero di palle gol ma anche corso più di un rischio. Peccato che una tale impresa sia stata macchiata dall'atteggiamento di Morata, che ha realizzato due gol pesantissimi fra andata e ritorno senza esultare, rovinando così parzialmente i due momenti più belli della sua finora breve carriera in omaggio al'ottusa consuetudine del "rispetto per la ex squadra". Ma tutto passa in cavalleria di fronte all'obiettivo centrato. Né si può dire che contro il Barcellona non vi siano chances per la nostra rappresentante, perché in partita singola può accadere di tutto. Tornando al consuntivo stagionale, se la squadra che esprime il meglio del prodotto interno lordo calcistico approda alla finale di Champions vuol dire che una crescita vi è stata; se altri due club, pur zeppi di stranieri, hanno sfiorato l'atto conclusivo di EL, va apprezzato il cambio di mentalità nell'approccio alla seconda competizione continentale, a dimostrazione che i continui fallimenti degli ultimi anni non sempre (anzi, quasi mai) erano stati dovuti a una effettiva inferiorità delle nostre squadre al cospetto di quelle estere. Dopodiché, certo, la strada è ancora lunga, e tante le soluzioni da adottare affinché questi exploit non si rivelino effimeri. Soluzioni che sono state già indicate più volte in questo blog, e sono comunque sotto gli occhi di tutti: visto che qualcosa si è mosso, è forse tempo di essere un po' più ottimisti e di auspicare un'autentica inversione di tendenza. Intanto, il ranking ha ripreso parzialmente a sorridere: non può piovere per sempre.
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