Il 7 maggio del 1986, allo Stadio Ramon Sanchez di Siviglia, lo Steaua Bucarest conquistò il suo primo e unico titolo europeo battendo il Barcellona per 2-0 ai calci di rigore, al termine di una partita non proprio memorabile. Làcàtus e Balint a segno per i rumeni, mentre Helmut Duckadam neutralizzò i tiri dei catalani. Dietro quella storica, quanto inaspettata vittoria vi era un progetto vincente che partiva da molto lontano. Marco Bagozzi nelle pagine di "Due a Zero, 1986: lo Steaua Bucarest è campione d'Europa" ( Urbone Publishing, con prefazione di Federico Buffa), racconta per la rubrica "Calcio Sfogliato ", l'epopea della prima squadra del blocco sovietico che ha vinto la Coppa Campioni.
I motivi sono principalmente due: il primo perché credo che la memoria storica dello sport nei paesi ex-socialisti vada riscoperta e coltivata. Fino agli anni '60 nella sinistra comunista italiana si parlava tanto delle attività sportive "d'oltrecortina". Poi lo sport e il calcio in particolare divenne qualcosa di estraneo fra gli intellettuali dell'intellighenzia della sinistra bene e venne quasi totalmente cancellato. Così, mentre nei paesi socialisti si raggiungevano risultati straordinari nello sport, qui da noi si parlava di "sport come alienazione capitalista". Un assurdo al quale ho provato a mettere una toppa pubblicando già tre lavori dedicati a Corea del Nord e Mongolia, oltre a questo quarto libro dedicato allo Steaua. Il secondo motivo era l'obiettivo di ripristinare la verità storica su tre questioni principali: innanzitutto l'influenza vera o presunta di Ceaușescu sulla squadra; in secondo luogo dimostrare che quella squadra non vinse solo per i rigori di Duckadam; in terzo luogo proprio per smentire la leggenda metropolitana legata al portierone.
Come metti ben in evidenza nelle prime pagine, la Steaua era la squadra dell'esercito, fortemente legata a Nicolae Ceaușescu, segretario generale del partito comunista. Quale era il rapporto fra sport e governo? Era così invasivo come l'emblematico caso della Dinamo Berlino nella Germania dell'est?Non era la squadra del Segretario. Era la squadra dell'Esercito, al quale Ceaușescu era legatissimo. Un dato di fatto eclatante è che un lungo periodo di crisi, che portò quasi alla chiusura della squadra, combaciò proprio con i primi anni di governo di Ceaușescu, tra gli anni '70 e i primi anni '80. Solo quando Ceaușescu invitò il figlio adottivo, Valentin, ad occuparsi della squadra le cose migliorarono. Ma come dimostro nel libro, Valentin non fu un tiranno del calcio rumeno, tutt'altro: fu un dirigente capace, visionario, amatissimo dai tifosi e dai giocatori.
Nel 1986 le squadre inglesi non potevano partecipare alle competizioni europee a causa della strage dell'Heysel, quali erano le compagini più accreditate alla vittoria finale?Senza le Inglesi c'era spazio per la Juventus, per l'Anderlecht di Scifo, per il Göteborg. Ma da ricordare c'erano anche la prima ed unica volta del Verona, l'Honvéd di Détári, il mitico Austria Vienna di Polster e il Barcellona.
La seconda squadra dell'est a vincere la Coppa Campioni fu la Stella Rossa di Belgrado, che fra le sua fila presentava un ex dello Steaua: Miodrag Belodedici, il suo trasferimento fu abbastanza controverso.Si, vero. Miodrag era nato in Romania, ma di etnia serba. Il suo sogno era giocare per la Stella Rossa, da sempre. Addirittura pare che cominciò a parlare rumeno solo nell'età adolescenziale. Quando si aprì uno spiraglio con i primi scricchioli del governo Ceaușescu approfittò di un viaggio in Jugoslavia dai parenti per chiedere di essere messo sotto contratto dalla squadra di Belgrado. Ne venne fuori una disputa in seno all'UEFA, ma dopo un anno di inattività Belodedici giocò con la Stella Rossa e vinse la sua seconda Coppa dei Campioni, caso unico con due squadre di paesi socialisti ed entrambe con il nome stella nell'appellativo: Crvena Zvezda, Stella Rossa, e Steaua, La Stella.
Lo Steaua ebbe un'altra grande occasione, il 24 maggio del 1989 sempre in Spagna, al cospetto del grande Milan di Sacchi, i rossoneri si imposero per 4-0. Il 9 novembre del 1989 cadde il muro e in seguito anche il regime comunista in Romania, cosa ne è stato della Steaua e del calcio rumeno in generale negli anni successivi? Oggi a che punto è la nazionale che ha conquistato il pass a Euro 2016?Il calcio rumeno ha continuato a produrre grandi giocatori anche negli anni '90 e 2000 (Mutu e Chivu, per ricordarne due molto conosciuti in Italia) ma è crollato come "sistema interno". A livello di club le soddisfazioni sono misere, la nazionale ha saltato gli ultimi 3 mondiali e 2 degli ultimi 3 Europei (nel 2008 si fermò al girone eliminatorio). Troppo poco per una grande tradizione calcistica. Visto l'allargamento delle partecipanti, la qualificazione ad Euro 2016 era un obiettivo obbligatorio, nonostante la sorpresa Irlanda del Nord. La nazionale di Anghel Iordănescu, leggenda di quello Steaua, con una storia a dir poco incredibile (ma la lascio per chi leggerà il libro) però non ha perso nemmeno una gara delle 10 disputate, subendo appena due reti, segno di una stabilità difensiva acquisita. Non ci sono grandi nomi, ma qualcosa di interessante potrebbero fare. Vedremo.
A livello di calcio interno qualcosa di ottimo invece sta creando Gheorghe Hagi che ha messo su un'accademia per giovanissimi calciatori sulla quale molti sono disposti a scommettere. L'immagine dell'Hagi focoso corrisponde poco con la concezione che hanno i rumeni del "Maradona dei carpazi", ritenuto persona di altissimo spessore morale e di grande intelligenza. Il primo prodotto dell'Accademia è proprio il figlio di Hagi, Ianis, un classe '98 già sotto contratto con la Fiorentina.
L'autore: Marco Bagozzi, ha lavorato per "Eurasia-Rivista di studi geopolitici" e nel 2014 ha pubblicato "Patria popolo e medaglie. Lo sport nella RDP Corea tra politica storia e Juchè" e "Vincere con Gengis Khan, lo sport in Mongolia fra tradizione, cultura e politica."
Calcio Sfogliato- intervista a Marco Bagozzi, autore di "Due a zero, 1986: lo Steaua Bucarest è campione d'Europa" ultima modifica: da