E’ una storia che si ripete, puntualmente, ad intervalli regolari di tempo: il mondo del calcio è stravolto dalle piccole miserie umane dei viziati del pallone
Scontri tra ultras e forze dell’ordine. Se si utilizzasse la stessa veemenza per le cose che contano, le ingiustizie potrebbero finire nell’arco di una giornata…
adesso basta: il pallone è mio e non si gioca più
Il calmiere sociale per eccellenza della società italiana è sempre nell’occhio del ciclone, che puntualmente comincia a spazzare campi e sedi delle squadre di calcio, solitamente a fine campionato.
Adesso è il momento dello sdegno, dell’unanime condanna, del “tanto si sapeva”. Che il giocattolo si sia rotto, non è certo una novità: già da “Calciopoli” l’amore degli italiani per il giochino degli undici in mutande è diminuito notevolmente, e a nulla servono le telefonate di laureate 110/110 cum laude che offrono pacchetti pay tv per vedere le partite.
Partite, per chissà dove, e non ancora tornate: non sono più i tempi in cui si aspettavano le 18.30 della domenica pomeriggio per assistere alla differita del secondo tempo di un match (spesso nemmeno quello clou) della giornata. Adesso lo stadio si sposta nel salotto di casa, la “magia” del digitale partecipa all’imbarbarimento delle coscienze.
Per anni abbiamo creduto nell’universo del prato verde, popolato da superuomini capaci di ogni memorabile impresa. Tutto questo si è sgretolato, guarda caso, grazie ad un altro mezzo di controllo sociale, quel denaro in nome del quale si possono svendere uomini, popoli e i loro ideali. Per anni abbiamo criticato l’universo ultrà, popolato da masse inconsapevoli, rinchiuse dentro moderne arene dei gladiatori, pronte ad accoltellarsi in nome del colore di una maglia.
No, non è questa la civiltà occidentale di cui possiamo essere fieri.
Ora serve un’azione di distrazione globale: non basta certo la nazionale azzurra impegnata negli europei del mese prossimo in Ucraina e Polonia. Si vuol lasciare il tempo di metabolizzare la supposta a base di IMU e prossimo (probabilmente inevitabile) aumento dell’IVA: cari italiani, non rompete le palle e guardate cosa fanno quei cattivacci ben vestiti, tutti figa e Costa Smeralda, dei calciatori.
Una volta, qualcuno scrisse che se in Italia si vuol cacciare davvero il governo Monti bisogna fermare il campionato di calcio: altro che business, non si deve fermare perché non devi poter avere il tempo di pensare!
Serve un nuovo nemico, da additare come (parziale) colpevole delle italiche beghe, un punchball su cui dirottare l’interesse del popolo: se preferite, è quella “pianificazione sociale” che Chomsky riconosce nella televisione, o pensate che sia stato un caso il business delle partite in diretta nato negli anni ’90?
Ora sono gli stessi idoli del pallone a demolire le certezze di tifosi sempre più limitati nella loro capacità di individuare i veri antagonisti verso cui rivolgere le proprie rimostranze: la stessa “società ultrà” esce pesantemente ridimensionata da questa squallida vicenda, grazie all’operato di alcuni esponenti della curva del Bari, duri e puri ultrà tutti mamma e pallone, quelli dal fumogeno facile, l’esercito che sfida le forze dell’ordine al grido di “poliziotto primo nemico”,quelli che spartiscono coltellate a destra e manca per difendere una bandiera che può essere messa in discussione in nome della divinità del terzo millennio, quel dio denaro facilmente ottenibile grazie alle famigerate scommesse. Fare pressione sugli stessi calciatori che vengono invocati dalle curve, affinché “aggiustino” il risultato di una partita, e magari scommetterci sopra una bella somma di denaro per quadruplicare, decuplicare la posta: un modus operandi esecrabile.
Chissà quanti di noi poveri comuni mortali, negli ultimi sette-otto anni, si son domandati se quelle azioni di gioco un po’ approssimative, quei risultati clamorosi, fossero attendibili o frutto di accordo tra le parti per frodare il totalizzatore.
Peccato che l’erario incassi una bella fetta dei proventi delle scommesse sportive, fortemente volute per ingrassare sempre più i soliti noti. La “ludopatia” è troppo diffusa, a tutti i livelli, nel nostro paese ed è impensabile ripensare il sistema delle puntate sulle partite, che ormai genera un introito non indifferente per uno stato sempre più sciacallo.
E’un mondo finto, quello del pallone: colorato per novanta minuti la settimana e nel buio più torbido per i restanti 9990, concepito unicamente per ammansire una parte di popolazione avvezza a questi spettacoli, finti più del Wrestling statunitense con pagliacci in calzamaglia. Anche in questo caso si potrebbe parlare di pagliacci, benché in calzoncini e t-shirt: ma panem et circensem non è mica un ritrovato delle nuove classi dirigenti che hanno condotto l’Europa alla “crepuscolite da capitalismo conclamata”.
Da più parti si attendono gli esiti delle indagini, per scoprire se questo o quel calciatore sia o meno colpevole, o se quell’allenatore ha vinto il campionato comprando o vendendo le partite: ma non è argomento rilevante, è l’intero sistema ad essere compromesso, ad aver perso ulteriormente credibilità, se mai ve ne sia possibilità.
Intanto Criscito perde il treno per gli Europei, Mauri prende l’espresso per Rebibbia: da più parti ci si domanda se sia così facile svendere un ideale per un guadagno. E la risposta, purtroppo, è quasi sempre sì.




