Calin Peter Netzer: Il Caso Kerenes
Creato il 28 ottobre 2013 da I Cineuforici
@ICineuforici
IL CASO KERENES
(Romania 2013, 112 min.,
col., drammatico)
Impossibile non recuperare Il Caso Kerenes; Orso D’Oro a Berlino
2013, conferma la qualità del nuovo cinema romeno (precisamente Noul Val, se vogliamo la nouvelle vague dei Carpazi), che trova
nei suoi maggiori esponenti oltre ai pluripremiati Mungiu e Porumboiu (quello
di A Est di Bucarest) proprio lo
stesso Netzer. Un cinema che riscatta un paese da troppo tempo in sonno, e in
attesa di riscoperte che corrispondano a una più attenta e giustificata
rivalutazione.
Bucharest. Cornelia
appartiene all’alta borghesia romena ed è una donna maniaca del controllo.
Tutte le sue forze hanno come comune obiettivo il benessere (o almeno quello
che la donna, nella sua logica distorta, reputa essere il benessere), dell’unico figlio Barbu. Le sue attenzioni per Barbu
sono così estreme da sfiorare l’incesto; ormai il figlio ha superato i
trent’anni e finalmente sta per formare una famiglia sua. Cornelia è conscia di
stare mollando la presa, vede perdere l’influenza opprimente che ha su di lui.
Ma quando Barbu uccide un bambino (di ceto sociale “inferiore”) investendolo,
ecco che si ripresenta l’occasione per la donna di riappropriarsi della vita
del figlio, di tirarlo nuovamente a sé.
Guardando ilfilm di Netzer, la mente parte nella
direzione di Farhadi (il Maestro mi piace troppo, lo ammetto) piuttosto che dei
colleghi romeni. Netzer come Farhadi sfrutta la vicenda familiare/privata, anzi
questa volta addirittura personale (come ha dichiarato lo stesso regista) allo
scopo di pervenire a un più ampio fronte di analisi sociale. Così, sfruttando vie più incisive di quelle
che potevano scaturire da uno sterile pamphlet, il regista traccia uno scenario
desolante con efficacia spietata. Il panorama che emerge non è molto distante e
anzi sembra un presagio catastrofico del nostro, segnato nettamente da due
classi sociali il cui divario sembra estendersi fino a diventare sempre più
incolmabile. Una cosa del genere accadeva in Una Separazione, anche se nella
pellicola iraniana il divario appariva più profondo, poichè tendeva a premere
altri delicati tasti (religione e pregiudizio) insiti nella società del paese
mediorientale. Ne Il Caso Kerenes a
fare la differenza è, dalla prima all’ultima inquadratura, il Denaro, e il
Potere che esso procura. L’uccisione del bambino è solo un intoppo nella vita
di Barbu, già segnata e accuratamente pianificata nel dettaglio dalla madre.
Barbu è la creatura di Cornelia (e la
canzone sulla quale balla all’inizio la donna, Meravigliosa Creatura, è, a posteriori, un dettaglio non da poco)
la sua ragione di vita, la sua realizzazione incarnata che nulla, nemmeno un omicidio,
può ostacolare. Le conseguenze della sua “educazione” sono devastanti; Barbu è
un uomo castrato: debole, indeciso, schiavo dei farmaci, incapace di portare
avanti alcuna relazione.
La regia di Netzer,
che apparentemente sembra non perdere mai il controllo, non uscire mai da
confini già tracciati (la messa in scena riflette forse il contenuto oppressivo
del film?), in realtà si innerva agitata nelle fondamenta da scosse telluriche,
palesi in quei movimenti di macchina nervosi ed epilettici; così Netzer
vorrebbe rimanere “freddo” nella sua esposizione ma in alcuni momenti di
incontinenza rabbiosa rivela le sue carte, quando esplode in aggressioni
velenose nei confronti dell’ipocrisia di quella classe dirigente che, presa dai
suoi party, se ne sbatte di un ragazzino ammazzato per strada. Nel suo incedere
sembra spesso perdersi in lungaggini ed eccessive descrizioni, ma si realizza
infine l’intenzione volta a preparare lo spettatore a un finale magnifico, in
cui la recitazione ipocrita di Cornelia viene seppellita dalla concretezza reale del dolore di una famiglia
distrutta, che piegano la “donna di ferro” in un dolore indescrivibile; è il
crollo definitivo della sua armatura, Cornelia rimane disperatamente senza
difese;Netzer rappresenta, all’apice
del film, una delle scene più struggenti dell’anno, forte di tensione
altissima, la cui rottura, al calare del buio nei titoli di coda, provoca un
impatto emotivo impareggiabile; in un film italiano sarebbe stato melodramma e
pianti a dirotto, grida e botte: registi italiani, prendete appunti. Qui sta la
diversità per cui l’autore è davvero da tenere d’occhio: se nella cinematografia
romena appartenente ai nomi prima citati pareva che lo scopo fosse di
allontanare un passato scomodo e ingombrante, è chiaro invece che Netzer si
pone come attivo regista del presente.
Stefano Uboldi
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