E si arrampicavano - probabilmente lo fanno ancora - sulle pareti degli organigrammi, puntando i piedi su pioli di scale umane, ostinandosi a chiamarle "risorse" quando invece "mezzi" sarebbe stato più appropriato, nuotando come squali che divorano piccoli pesci nei fantozziani acquari privati di predatori più grandi e feroci di loro.
Oggi languono spesso in carriere statiche, stagnanti, stantie, sta-varie-altre-cose, annaspando nella melma aziendale che a poco a poco ha inghiottito le loro anime. Fingono di non aver mai fallito, evitando riferimenti al passato e avvolgendo il presente con un entusiasmo che ormai è soltanto un sacco per l'immondizia. Le loro frasi vuote a effetto non ci sorprendono più e finiscono soltanto per proclamare la calcificazione del loro approccio, così come il nostro sorriso - muto e assordante - dichiara semplicemente voglia di non infierire, non certo timore, riverenza o mancanza di coraggio.
Anni fa le nostre lettere sono state spesso ignorate, cestinate o passate al tritadocumenti. Non capivamo nemmeno i loro falsi consigli, confusi dalla nostra innocenza e abbagliati dalle loro fesserie tecnicistiche. A volte abbiamo ripiegato su lavori che magari non ci piacevano, ma si sa, qualcosa bisogna pur fare.
La nostra mancanza di preparazione e pianificazione ci ha resi vulnerabili alle calamità della precarietà, ma col tempo ci siamo adattati alle nuove condizioni, abbiamo imparato, fatto esperienza, siamo cresciuti. Da questo processo è nata così una nuova specie. In un mondo che divora oggi ciò che ieri sembrava fantascienza - inghiottendo, rigurgitando, ruminando, digerendo ed espellendo nuovi orizzonti a ritmi vertiginosi - ci siamo fatti spazio noi: i camaleonti paradigmatici.
Potremmo estinguerci prima ancora di trovare il nostro spazio nella biosfera del mercato. Ma non è detto, non è ancora detto. A differenza di loro abbiamo ancora qualche carta da giocare. E potete contarci: ce la giocheremo, qualcuno lo farà.