Si parla di matrimonio e inevitabilmente una delle paure mai rimosse riguarda l'etichetta, le buone maniere, cosa si deve fare e non si deve fare. E allora si cercano risposte in manuali di cent'anni fa, che se decontestualizzati posso portare a veri orrori oppure si rimane paralizzati alla ricerca di una forma che più ampollosa non si può, dimenticando che le regole dovrebbero servire per aiutare nei rapporti con gli altri, non per giudicare o essere giudicati!
Questo post del blog 27 ora di ieri parla proprio di educazione, a tavola in questo caso. Interessa ancora a qualcuno? Oppure, pur abbandonando ogni cortesia nella vita quotidiana*, vorremmo ripescare Monsignor Della Casa il giorno delle nozze?
*Una mia conoscente sostiene che insegnare ai bambini a dire grazie e prego in casa non ha alcun senso, perché in casa si deve essere liberi e queste formalità non si usano.
«Più di prima. Le abbiamo dimenticate — risponde Giuseppe Scaraffia, storico e scrittore —. È da tempo immemorabile che si viene giudicati per come si mangia. Marcel Proust era criticato perché durante le cene si spostava con il piatto a ogni portata tra un invitato e l’altro, Charles-Maurice de Talleyrand si soffiava il naso senza fazzoletto, con le dita, in presenza dei commensali e Napoleone Bonaparte nella fretta si puliva le mani sui pantaloni di cashmere bianchi».Allora ci si chiede, le buone maniere a tavola interessano ancora?
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