Dott. Ongaro, qual è il messaggio principale che vuole comunicare con il suo ultimo libro “Mangia che ti passa”?
Il messaggio principale è che se in una vita di 80 anni mangiamo circa 50 tonnellate di cibo, non possiamo continuare a non preoccuparci di cosa ingeriamo, della provenienza del cibo, di come è stato prodotto e lavorato e degli effetti che esso ha nel nostro organismo e nelle cellule. La nutrigenomica, scienza che studia l’interazione tra nutrienti e DNA, offre al clinico una nuova comprensione dell’effetto preventivo e curativo che ha il cibo, e di come l’alimentazione moderna sia lontana dalle esigenze del nostro organismo.
Secondo lei, molte delle nostre malattie e dei nostri problemi di stress dipendono dal fatto che il nostro stile di vita e la nostra alimentazione siano cambiati più rapidamente di quanto abbia fatto il nostro organismo. Tuttavia, è innegabile che sotto certi aspetti oggi stiamo molto meglio di un tempo. Come riappropriarci delle nostre “origini” senza però rinunciare al progresso? Sono conciliabili le due cose?
Credo proprio di sì, ed è il mio obiettivo come clinico proporre proprio questo ai pazienti. Stiamo vivendo in un’epoca in cui per la prima volta iniziamo ad ammalarci di troppo progresso. La soluzione non è il regresso, ovviamente, ma una correzione di rotta che ci permetta di vivere più a lungo, ma soprattutto meglio. L’obiettivo dunque non è la longevità ma quello che si chiama disability free longevity, cioè gli anni vissuti senza malattia. Se si considera questo parametro si deve purtroppo riconoscere che la medicina ha avuto un successo molto più limitato di quello che sembra. La nuova medicina che sta emergendo punta proprio ad una gestione della salute, più che ad una tardiva e parziale soppressione dei sintomi.
Fino ad ora il medico si è principalmente occupato della cura delle malattie, piuttosto che della loro prevenzione. Crede che i medici di oggi siano pronti ad attuare il cambiamento di paradigma che lei auspica, o sono ancora troppo ancorati al vecchio approccio? Per quanto riguarda il settore della prevenzione, c’è spazio anche per altre categorie professionali, come i biologi nutrizionisti?
Il medico si occupa di ciò che gli viene insegnato di occuparsi. Le facoltà di medicina non sono cambiate di una virgola dal 1900, sono impostate per dare strumenti potenti per curare gli episodi acuti. In questo la medicina di oggi è incredibilmente efficace e ha fatto enormi passi avanti. Il problema è che la graduale degenerazione legata all’età e le malattie croniche che essa provoca non vengono gestite nel loro insieme, ma semplicemente come una somma di episodi acuti. Malattie cardiovascolari e tumori, per esempio, sono le principali cause di morte nei paesi industrializzati. In entrambi i casi si tratta di processi che richiedono decine di anni per diventare clinicamente rilevanti. Questi anni, in cui si dovrebbe intervenire con una prevenzione personalizzata, vengono invece persi. Inoltre, la medicina iperspecialistica ha fatto perdere di vista il paziente come persona. Ognuno si occupa del suo organo. Ognuno vede e cura una fetta, come se l’organismo umano fosse semplicemente la somma di organi disconessi tra loro. In realtà la ricerca ci indica esattamente il contrario. Oggi si comincia a comprendere l’immensa rete di reazioni biochimiche e molecolari che connette tutto ciò che ci riguarda, incluso mente e corpo. In altre parole, esistono dei processi fisiopatologici trasversali che caratterizzano la base comune di malattie che poi si manifestano in organi tra loro lontani. E questi processi possono diventare oggetto di terapie preventive e curative più efficaci e meno rischiose delle attuali. Allargando cosi la sfera di azione della medicina, emerge anche il ruolo di vari operatori della salute che a pieno titolo devono contribuire al progetto di prevenzione e cura che si sviluppa per un paziente. Chi si ostina a delegittimare altre figure professionali ha evidentemente paura di perdere potere.
Perché secondo lei c’è così tanta confusione a proposito di prevenzione, specialmente quando si parla di nutrizione e integratori? Sembra che alcune volte gli interventi funzionino, altre volte no: tutto ciò non aiuta il pubblico a capire. Anzi, potrebbe minare la fiducia della gente nella scienza e diventare una scusante per non seguirne i consigli e mantenere le cattive abitudini.
Purtroppo anche qui c’è chi si ostina a prendere come verità alcuni studi disegnati appositamente per dimostrare l’inefficacia di sostanze non farmacologiche. Gli interessi dietro sono evidenti. Se si ha una visione d’insieme della letteratura si arriva a conclusioni invece molto chiare. Poi ogni tanto viene pubblicato uno studio che i media subito riprendono e che sembra smentire tutto. Il più delle volte se si analizza lo studio si trovano numerose falle. E’ un po’ come voler studiare l’universo con il microscopio o la cellula con il telescopio. Si usano strumenti inadatti. Per esempio gli studi randomizzati sono perfetti per studiare l’effetto di un farmaco su una malattia, ma sono altrettanto inadatti a comprendere gli effetti più complessi e lenti di interventi naturali.
La nutrigenomica ci dice in che modo il cibo influenza i nostri geni. Cosa pensa invece della nutrigenetica, cioè del fatto che un singolo individuo possa avere esigenze nutrizionali differenti in base al proprio DNA? Crede cioè nella personalizzazione della prevenzione?
Certamente. E’ un passo ulteriore. Prima si lavora sulle caratteristiche comuni del DNA (il 99,9% del nostro DNA è identico), e poi si può personalizzare l’intervento studiano le piccole differenze genetiche inter-individuali.
Il settore dei test genetici applicati alla nutrizione sta vivendo un vero e proprio boom in questo periodo, anche nel nostro Paese. Ritiene che la scienza che supporta questi test sia abbastanza matura per un utilizzo commerciale? Come può la persona comune riconoscere un test scientificamente valido da uno che non lo è?
In questo caso il ruolo di un medico preparato in materia è essenziale. Test genetici “fai da te” sono secondo me poco utili. Forse c’è stata troppa fretta a mettere sul mercato analisi ancora poco validate. Ora le cose sono più mature, ma è sempre bene che vi sia un medico a suggerire quali test fare e ad interpretare i risultati.
Recentemente l’azienda spagnola Life Length ha annunciato di voler vendere un test che, misurando la lunghezza dei telomeri, sarebbe in grado di rivelare la reale età biologica di un individuo. Cosa pensa di questo test?
Maria Blasco, la ricercatrice che ha ideato il test, è una delle maggiori esperte internazionali di telomeri. Il test è serio, si tratta di capire che ruolo avrà sul piano clinico. E’ bene chiarire comunque che non è informazione fine a se stessa, in quanto la velocità con cui i telomeri si accorciano è modulabile, come dimostrato da numerosi studi tra cui quelli di Dean Ornish, che ha dimostrato come un corretto regime alimentare, esercizio fisico moderato e meditazione siano in grado di attivare significativamente la telomerasi, l’enzima che “riallunga” i telomeri.
Ringraziando il dott. Ongaro per l’intervista, ricordo che potete acquistare il libro in tutte le librerie e anche su Amazon.it. Se invece siete ancora dubbiosi, potete leggere l’estratto in PDF disponibile gratuitamente sul blog dell’autore e scaricabile a questo indirizzo. E se volete saperne ancora di più, ecco una video-intervista che ho trovato su Youtube.