Ma a quale prezzo? E con quale vantaggio? Ci sono passi dai quali non si torna indietro e ci sono strade obbligate, chiusure senza appello dove ti sembra che ci siano delle regole fisse. È il gioco delle belle statuine, ti puoi muovere finché non viene qualcuno a dirti "basta", nell'equilibrio dell'insieme può capitare che tu ti debba fermare e stop. Non tu in quanto persona, per qualche tragica colpa sepolta nel tempo, ma in quanto pedina tra le altre. E capita pure che il ministro dell'istruzione abbia il coraggio di dichiarare che uno dei problemi della scuola sarebbe la mancanza di entusiasmo di molti di noi professori. Che faccia tosta.
Qualunque cosa succeda alla tua vita e senza nessun preavviso, le regole possono cambiare in modo drastico e, quel che è peggio, cambiano in modo retroattivo, coinvolgendo sempre chi ha già scelto con altri criteri. Si possono tenere le antenne accese, ma non si può operare secondo ipotesi contrastanti. Bisogna prendere decisioni, decisioni che - per quanto possibili - non sono semplici e sono dolorose. Si sceglie privandosi di una possibilità o più in nome di nessuna certezza.
Ma va bene, si sceglie. Si sceglie di andar via. Cosa succede, esattamente, andando via? Si perde l'anzianità di servizio in una provincia per le proprie graduatorie. Cosa vuol dire questo, esattamente? Allo stato attuale, nulla. Ma proprio nulla, se non un generico titolo di preferenza che in certi casi non conta più di tanto. E domani? Come faccio a essere certo che non mettano impedimenti? Come faccio a sapere che una provincia non renda impossibile l'immissione in ruolo nella propria d'origine per qualche strano capriccio ministeriale?
Perché si tratta di semplici impedimenti senza una logica. Non c'è nessuna ragione per la quale i ragazzi si trovano costretti ogni anno a cambiare professori - che per di più arrivano in classe sempre più tardi rispetto all'inizio dell'attività - e invece il professore deve garantire la sua presenza sul territorio, poco importa se sballottato da un comune all'altro. Ci garantite o no il cambio di provincia tra tre anni? E in nome di quale principio se dichiarate di voler esaurire tutte le graduatorie entro dieci anni?
Inoltre mi chiedo davvero cosa vogliano da noi ministri e signori professori d'altro bordo. Cosa volete da chi è laureato, abilitato e lavoro giorno dopo giorno, spesso con passione? Possibile mai che sulla classe insegnante si debbano lanciare tutti gli strali possibili, pensando a tagli lineari proprio con un'intera classe alla quale avete conferito titoli di ogni tipo mentre lamentate l'abbassamento del livello culturale del paese?
E perché in tutti i discorsi sulla disoccupazione non includete mai noi insegnanti, che rientriamo invece solo nelle voci dei costi? Cosa abbiamo di diverso per cui si può fare fuori buona parte di noi dal mercato del lavoro e non includerci nelle statistiche costruite ad hoc? Perché siamo gli unici ad avere scelto per statuto il mestiere sbagliato con una scelta più o meno anacronistica per i tempi attuali? Forse perché siamo capitati in un periodo di ripensamento sull'istruzione delle nuove generazioni? Ricordate che se siamo arrivati a esercitare questo lavoro è perché voi ci avete dato gli strumenti per farlo con un opportuno mercato dei titoli.
Prendiamo l'ipotesi ormai sempre più che ventilata del taglio di un anno di scuola. Illudere che dopo ci sia un lavoro - i telegiornali, ministri cari, li seguite, a parte valutare i termini per una querela per diffamazione? - o che l'università serva a qualcosa in tal senso è una nauseante ipocrisia. Me voici, laureato, addottorato e abilitato. E voi state facendo di tutto per impedirmi di fare il mio lavoro.
Però ci date l'eccellente esclusiva dell'immobilismo in questo paese, noi che soffriamo di tutti i tagli e della semplicioneria e dell'ignoranza, quando non dell'incompetenza, di molti colleghi, del resto sempre difesi dai sindacati. La soluzione sarebbe allora la selezione diretta da parte dei dirigenti scolastici? E perché?, perché? Signor Ministro caro, vuole venire a Palermo e proporre le sue competenze e vedere chi la sceglie e le dà un lavoro per quanto è brava? Venga, signor Ministro, venga. Venga pure.
Ma è un problema nostro, voi siete stati chiamati a lavorare sulla base dei numeri. Che le persone si adeguino, che scelgano e quel che succede succede. Solo che questo non è governo, non è progettazione e non è nient'altro che macelleria sociale. Mi domando per quale ragione non ce ne siamo andati dall'Italia. Facciamo una cosa, ve la propongo io, così, tanto per capirci.
Facciamo che nessuno può governare se alle elezioni non ha votato almeno l'80% degli aventi diritto (e vi garantisco che è già un vantaggio, noi poveri mortali non possiamo commettere neanche quel 20% di errori più che fisiologici). Facciamo che la vostra presenza lì debba essere pienamente legittimata da tutti, in quanto processo di scelta. E poi ne discutiamo. Perché io non credo alle vostre scelte, neanche quando e se scegliete me.
Non ci credo perché non si può stare a capo di un ministero che ha da poco ratificato un concorso-farsa creando così un doppio canale di assunzioni in ruolo spendendo un mare di soldi proprio mentre lamentava la scarsità delle finanze e nello stesso tempo propugnare l'assunzione diretta da parte dei presidi. Non ci credo e non posso crederci. Ma almeno non ho bisogno di chiedervi da che parte stiate, perché si capisce benissimo: noi non siamo soli, vi abbiamo semplicemente contro.
P.S. Chi dovesse trovare apocalittico questo post, può ricredersi senza difficoltà: l'apocalissi è una rivelazione, le dichiarazioni dei governi recenti non rivelano proprio nulla.