In una realtà in continuo divenire in cui oggi è già ieri, e in cui domani diventa oggi, non si capisce come possano ancora esserci oggi, nel mondo in cui viviamo, venditori di fumo. Chi promette cose che non potremmo mai avere, chi seduce gli animi corruttibili dei deboli. I deboli siamo noi. Un popolo vittima delle atroci scelte di chi governa o vorrebbe governare senza un minimo di morale. Ed oggi ci troviamo spiazzati difronte agli errori di una generazione che passa. Prima erano i figli della modernità. Poi sono diventate le vittime delle guerre e delle dittature. Poi i seguaci di un sogno ricostruttore che come ogni cosa potenzialmente degenerante, è degenerato. Nell'abusivismo. Si è abusato di tutto. Della dignità umana, della persona, della famiglia, del lavoro, dei sogni e ancor di più della "res publica". Il disgregamento dell'unità della cosa pubblica, dello Stato, per seguire vigliacchi interessi personali. L'anteposizione della parte al tutto, del bene proprio al benessere generale ha riportato in luce quella profonda crisi di valori che caratterizzò il primo Novecento. Un periodo in cui tutto fu messo in discussione. In primis la condizione dell'uomo nelmondo. Un mondo ormai privo di certezze. Travolto dal caos dell'incertezza della metafisica, della religione, della morale stessa. L'uomo che cerca continuamente se stesso. Che perde la sua identità prima come individuo poi come "animale sociale". In preda ad una profonda crisi esistenziale che lo pone al centro del mondo. Un mondo che danza sui piedi del caso. Un mondo privo di certezze assolute. Il nichilismo. L'inesistenza di valori e dogmi assoluti. Perché "Dio è morto", disse Nietzsche. È caduto il mondo idealistico delle speranze promesse, del fare oggi in questo mondo per esserne ricompensati in un altro. Il momento è adesso.Tutta l'antica filosofia greca ruotava intorno ad unico fine. Quello di ricercare l' αλήθεια (alèteia = la verità). Il bello delle parole è che nascondono un significato intrinseco. E l' αλήθεια non è solo la verità, ma più precisamente è "ciò che non può essere nascosto". In un mondo oramai in preda ad una profonda crisi ideologica ed esistenziale come quello in cui tutti noi oggi viviamo, è facile trovare conforto in buone promesse e parole vuote. Ma diffidiamo della distorsione della realtà, della mistificazione del mondo. Diamo concretezza alle parole senza abboccare come pesci all'amo.In un famoso mito, il mito della caverna, Platone racconta di uomini fatti prigionieri (prigionieri delle credenze dell'umanità) che vivono al buio in una caverna costretti a vedere proiettate su un muro davanti a loro soltanto ombre di uomini. Questi credono che quelli siano i veri uomini (ma non sono altro che le ombre di piccole statuette tenute dai portatori di simulacri, che non sono altro che "venditori di sogni"). Il problema sta nel fatto che gli uomini-prigionieri scambiano le ombre con la realtà. Ma se solo uno di loro riuscisse a liberarsi dalle catene (cioè a staccarsi dall'ignoranza e dalle credenze) si accorgerebbe delle statuette e capirebbe che la realtà sono le statue e non le ombre. Ma se in seguito il prigioniero liberato, riuscisse ad uscire dalla caverna scoprirebbe che la vera realtà non sono nemmeno quelle statuette. In un primo momento, avendo vissuto per anni nell'oscurità, abbagliato dalla luce non riuscirà a distinguere le cose reali e guarderà solo le costellazioni e il firmamento. Poi potrà guardare il sole e distinguere le cose reali godendo della loro bellezza. Quale uomo, dopo tutto questo, vorrebbe tornare alla vita precedente? Eppure, per salvare i propri compagni di schiavitù, se l'uomo tornasse nella caverna per "svegliare" i suoi compagni, i suoi occhi offuscati dall'oscurità non riuscirebbero a distinguere più le ombre e quindi verrebbe deriso dai suoi compagni, che lo prenderebbero per pazzo, finché infastiditi dal tentativo dell'uomo di portarli fuori dalla caverna, lo ucciderebbero (la stessa fine che fece Socrate per aver detto quella verità di cui si parlava prima).Ucciso per essere "tornato alla caverna". E ritornare nella caverna significa per l'uomo mettere quello che ha visto, le proprie conoscenze a disposizione della comunità. "Così lo Stato potrà essere costituito e governato da gente sveglia e non già, come accade ora, da gente che sogna e che si combatte per delle ombre e si contende il potere come se fosse un gran bene" (Nicola Abbagnano).Una crisi culturale profonda contagia la politica, perché la politica siamo noi. La πόλεις (poleis) è la città. E parte da noi la riforma della nostra società. Soltanto superando la fase transitoria di una grave crisi morale di valori si può dare un nuovo senso alla nostra comunità e alla politica. Altrimenti una crisi politica, generata dalla perdita di valori e dal disinteresse collettivo genera una distorta analisi della realtà che inevitabilmente creerà politiche economiche altrettanto degenerative. A discapito della società stessa. E del mondo intero. Siamo cittadini del mondo ed è impensabile che pochi uomini al mondo possano arbitrare come un burattinaio, le vite di milioni di uomini. Esiste la politica buona. E tutti noi ci crediamo perché tutti noi contribuiamo in un modo o nell'altro a renderla migliore. Esiste una economia buona, uno strumento che può rendere migliore la vita di moltissimi uomini, nella sua essenziale funzione di scienza sociale. Ma tutto questo sarà possibile solo quando tutte le nostre teste saranno pronte ad accettare il nuovo, il diverso. Perché cambiare è possibile se solo tutti ci credessero. Keynes sosteneva che la difficoltà non sta nell'introdurre nuove idee, ma nello sradicare le vecchie, che si ramificano in tutti gli angoli del nostro cervello. Siamo noi la nuova generazione del cambiamento. E allora cambiamo. Nel rispetto dei nostri limiti perchè l'uomo, come pensava Rousseau, nel passaggio dal suo stato di natura allo stato di essere sociale, diviene inevitabilmente limitato, per rispetto delle regole sociali che una comunità impone, in vista del bene collettivo. Ma il bene generale, l'interesse generale, la "volontè generale" di cui Rousseau parlava, non è la volontà di tutti, del fare tutto per tutti anche se qualcosa fra queste è ingiusta o sbagliata, ma il fare tutto in vista del bene di tutti, del benessere della comunità intera. Soltanto quando l'interesse di tutti verrà anteposto al fine particolare verrà meno quell'abusivismo morale dell'approfittarsi dell' altro, dello sfruttamento di chi non può, moralmente o materialmente, migliorare la propria condizione. Perché l'io ha bisogno dell'altro. Perché il due è il contrario di uno.Perché insieme si può cambiare.