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#cambiareverso - Dopo 5 mesi, già si parla di elezioni anticipate. "Stabilità"? ...estikatzi...

Creato il 13 luglio 2014 da Tafanus
Forse non è un caso che proprio nel momento di massimo splendore di Matteo I, il tam-tam romano, sapientemente percosso, cominci a suonare di nuovo la musica delle elezioni anticipate (di Bruno Manfellotto - l'Espresso)

Bruno-manfellottoSe le riforme non arrivano in porto, dicono le voci, il premier potrebbe accusare oppositori e alleati pro tempore di affossare il rinnovamento e chiedere al Capo dello Stato di sciogliere le Camere. Per conquistare nelle urne il definitivo consenso. Ma come, non sono passati manco cinque mesi e già c'è chi intona il de profundis? Possibile? E però non è stato forse Renzi stesso a dire che in caso di fallimento se ne torna a casa? Calma, distinguiamo. E cerchiamo di capire.

Il cammino delle riforme sta terremotando gli equilibri politici. Il voto di fine maggio ha rafforzato la leadership di Renzi, reso credibile la sua sfida, ingigantito le aspettative. Così come, specularmente, la sconfitta di Grillo ha lasciato emergere nel movimento «due anime» (copyright del guru Paolo Becchi) che forse sono sempre esistite, ma che ora hanno diritto di manifestarsi: l'ala del vaffa e quella istituzionale; la piazza e la Camera; il no a tutto e il dialogo; Grillo e Di Maio. Per paradosso, questa confusione così normale e così politichese che adesso attanaglia anche i 5 Stelle rende secondaria e quasi insignificante la dissidenza dentro il Pd e in quel che resta di Forza Italia.

Poi, probabilmente, più che la vittoria di Renzi alle Europee poté il patto di ferro con Verdini & Berlusconi che invece di sancire il trionfo del grillismo duro e puro ha ridimensionato i 5 stelle e fatto crescere in loro il timore di restare fuori del Grande Gioco, quello che potrebbe portare dopo trent'anni a una riforma della Costituzione e a una nuova legge elettorale sui cui meccanismi sia Grillo che Berlusconi giocheranno la propria forza parlamentare.

Una svolta inattesa che permette al premier la riedizione riveduta e corretta della teoria andreottiana dei due forni, non declamata né praticata, ma smentita e negata, e proprio per questo platealmente incombente come un convitato di pietra. Perché alla fine tra l'uno e l'altro, tra un sistema elettorale e l'altro Matteo dovrà scegliere: meglio sfidare Grillo o Berlusconi?

E dunque, vittorioso alle elezioni, senza oppositori insidiosi nel suo partito, forte di un alleato impaurito e di uno potenziale diviso e indebolito, perché mai dovrebbe crescere in Renzi la tentazione di elezioni anticipate? Forse la chiave sta in un tweet di qualche giorno fa: «Decreti attuativi, una questione molto seria, così non va bene». Traduzione che va oltre le 140 battute canoniche: fatta una legge, è necessario che la burocrazia politica e amministrativa la rendano concreta, attuino con decreti ad hoc i principi scolpiti nelle leggi. Il "corriere.it" ha calcolato che per realizzare davvero ciò che hanno fatto Monti, Letta e Renzi servirebbero più di 800 decreti attuativi. Dalle parole ai fatti.

E non solo. Lo sbandierato  cronoprogramma del premier - «a marzo il lavoro, ad aprile la pubblica amministrazione, a maggio il fisco…» - ha avuto, e avrà, l'effetto di ingolfare il Parlamento con un mare di provvedimenti di carta, non solo legge elettorale e riforma della Costituzione (nuovo Senato, redistribuzione dei poteri tra Stato e Regioni) per i quali non basterà qualche mese di lavoro. Magari. L'elenco è lungo e sta a cuore ai nostri alleati europei ben più del bicameralismo e del premio di maggioranza: devono diventare realtà le norme anticorruzione; la riforma della Giustizia e della Pubblica amministrazione; i provvedimenti sul lavoro; il pacchetto fiscale; le misure per le imprese e per la cultura…

E in mezzo c'è la legge di stabilità, e la necessità o meno di una dura manovra finanziaria a seconda della disponibilità dell'Europa a darci più tempo per i compiti a casa. Tra i quali, appunto, le riforme. Bisogna davvero "cambiare verso".

Un test decisivo per il premier; per le cancellerie d'Europa, invece, l'ultima occasione per verificare l'attendibilità di un Paese che finora non ha rispettato la parola data. Questo Renzi lo sa. Speriamo che nessuno gli offra l'alibi dell'inconsistenza e della paralisi che lo spingerebbe dritto dritto all'ultima sfida. E a perdere altro tempo.

Bruno Manfellotto

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