Ormai era nell’aria già da tempo. Fini e Schifani ieri hanno dato l’annuncio ufficiale, comunicando questa benedetta intenzione al nuovo ministro del Welfare. Dal 2012 si cambia: il sistema pensionistico dei deputati e dei senatori muterà regime e si adeguerà a quello di tutti i lavoratori. Si passerà dal sistema retributivo a quello contributivo. I signori parlamentari – altrimenti noti come onorevoli – potranno riscuotere la loro pensione da politici a partire dai 60 anni per chi ha più di una legislatura e dai 65 anni per chi ne ha solo una.
La riforma… ma direi piuttosto “riformina”, perché è – diciamoci la verità – leggermente ridicola nella sua portata (ma vedremo il perché dopo), colpirà i nuovi parlamentari, e cioè coloro che verranno eletti dopo la fine del 2011, e quelli attuali pro-rata, cioè parzialmente (per i contributi “versati” dal 2012). In altre parole, benché se ne dica, la riformina voluta da Fini e Schifani, entrerà a pieno regime solo con il parlamento eletto nel 2013, alla faccia dell’urgenza.
Dicevo appunto che si tratta di una riformina. E non può essere diversamente visti i punti essenziali della modifica portata all’esame dei due rami del Parlamento. Infatti, è ben evidentemente che si tratta di un contentino che la Casta concede al popolino, tanto per far vedere che anche i nostri onorevoli fanno dei “sacrifici” in questo periodo di profonda crisi. Il vero è che fanno dannatamente finta. Ma vediamo il perché.
Prima di tutto, esistono ancora i diritti acquisiti. Già! La riforma infatti non si estende a chi in pensione ci è già andato e ha meno di sessant’anni. Per questi privilegiati, la modifica non varrà. Chi ha fatto in tempo a godere del privilegio di percepire il vitalizio con appena cinque anni (se non di meno) anni di contributi parlamentari, continuerà a percepirlo come se niente fosse. E in questo senso, gli ex interessati sono davvero parecchi. Una casta a sé.
In secondo luogo, la evidente disparità di trattamento tra chi diventa parlamentare per caso e chi invece svolge l’attività politica per professione. I primi potranno godere del loro “sudato” lavoro solo dopo i 65 anni (poverini!), mentre i secondi potranno andare in pensione dopo i 60 anni. E mentre il resto del popolo dovrà sgobbare probabilmente fino ai 67 anni, per percepire una misera pensione, i professionisti della politica la percepiranno ben sette anni prima. E non certo una pensioncina da 700 euro al mese, perché, benché il sistema di calcolo sarà identico a quello di un operaio, la base economica di partenza sarà decisamente differente.
In terzo luogo, il virus della riforma che ha colpito i signori Fini e Schifani non ha intaccato neanche di striscio la revisione delle prebende e i privilegi parlamentari (quelli su cui si baserà il calcolo pensionistico, per intenderci). In altre parole, gli stipendi degli onorevoli non sono stati in alcun modo sfiorati dal virtuosismo acuto che ha colpito i due presidenti. I nostri deputati e senatori infatti continueranno a godere di somme di denaro che proporzionate al loro impegno lavorativo sono un insulto a chi lavora otto ore al giorno per portare un tozzo di pane a casa.
Infine, non possiamo non menzionare la inutile presenza dei senatori a vita. Un altro costo inutile della Casta che di questi tempi dovrebbe essere cancellato dalla contabilità del Parlamento. Ma – anche in questo caso – i nostri politicanti non hanno sentito l’urlo di indignazione che proviene dal popolo.
Insomma, a conti fatti, la volontà di Schifani e Fini, seppur apprezzabile nel suo complesso, è davvero blanda ed è per alcuni aspetti profondamente ridicola, se pensiamo che fra i nostri mantenuti abbiamo ex parlamentari che non hanno lavorato un giorno in vita loro e ciononostante percepiscono il vitalizio solo per aver partecipato a tre sedute parlamentari. È un po’ come se il riccone di turno, per dimostrare la propria solidarietà con il bimbi dell’Africa, rinunciasse al caviale il venerdì sera. È o non è una grossa presa per il culo?
di Martino © 2011 Il Jester