CAMMINARSI DENTRO (337): Errante radice

Da Gabrielederitis @gabriele1948

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27 gennaio – Giornata della memoria

Ho voluto inserire in questa Rubrica i post che precedono perché non li considero contributi alla riflessione e basta. Esprimo in questi giorni sentimenti antichi, che hanno accompagnato tutta la mia vita. Gli ultimi materiali – i video, che ho registrato io, degli incontri con tre sopravvissuti – sono la riprova di un interesse che è vivo in me dagli anni dell’Università. Allora mi convinsi dell’urgenza di verificare la natura del mio nome, perché sapevo di ebrei romani che si chiamano De Ritis: cercavo una radice ebraica in me. Purtroppo, sono riuscito a risalire solo fino al nonno di mio padre, di cui anche mio padre mi aveva parlato: si trattava di un ‘trovatello’, lasciato davanti alla porta della canonica… Restava da chiarire perché il Parroco avesse attribuito al bambino quel cognome. Mi sembrò suggestivo il pensiero che si trattasse di un ebreo, che si chiamava magari in altro modo, ma che indusse il Parroco a dargli un nome che ricordasse le sue ‘origini’.

Quell’esile filo in me non si è mai spezzato. Senza farne mai parola con nessuno, ho coltivato un sentimento di appartenenza che non poteva avere riscontri, e che forse era privo di fondamento nella realtà, ma che mi dava un senso della realtà del tutto speciale. Ripercorrere le ‘tappe’ dell’esplorazione della cultura ebraica, in cerca di luoghi in cui rintracciare semi si sapienza, sarebbe lungo e difficile ora, perché si tratta di un cammino che dura da oltre quarant’anni. Mi basta l’approdo rappresentato di un’immagine trovata in Cacciari: errante radice. E’ un’espressione potente, che riassume un ‘paradosso dell’esperienza’. A parte, la ‘matrice’ ebraica da cui essa proviene, rende con efficacia unica l’idea di un consistere ben saldo – pur sempre di radice parliamo! -, che non trova il suo approdo e il suo compimento in un dove definitivo. Stare qui è bello, ma siamo sempre chiamati altrove. Abbiamo dato un nome alle cose, ma non possiamo smettere di cercare le ragioni che spingono i nostri ‘vicini’ a cercare ancora. In esodo dallo spirito del tempo – nave senza timoniere, ormai! -, vorremmo consistere in un terra senza confini, o con confini labili, privi di filo spinato e di soldati, ormai inutili perché coloro che abitano di qua e di là hanno trovato le ragioni necessarie per rendere omaggio alla terra, senza la capacità di ricordare i torti subiti e preoccupati solo di essere fedeli alla terra.
Se ogni Patria è Patria per qualcuno, è urgente imparare a sentire che viviamo sotto un unico cielo e che, per quanti sforzi faremo, non riusciremo mai a diviverlo, per ritagliarne una fetta solo per noi!



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