Comunque sia, tolto il dente, tolto il dolore. Se si deve morire, è meglio farlo subito e non pensarci più. L’Italia finirà quasi certamente – salvo miracoli – in mano a Bersani oppure a Bersani-Monti. In entrambi i casi, sarà sempre un disastro, uno tsunami di proporzioni gigantesche che al confronto la crisi degli ultimi anni sembrerà un piccolo tifone. La verità è che per il nostro paese si prospettano anni duri, dove gli italiani dovranno ingoiare bocconi amari (e non parlo delle festicciole di Arcore): da una politica economica disastrosa improntata su un fisco feroce e spesa incontrollata, fino alla demolizione ideologica della famiglia naturale, alla cittadinanza facile agli immigrati, e chissà cos’altro. Niente che potrà davvero giovare agli italiani. Solo politiche ideologiche, atte a soddisfare presunte minoranze, eurocrati e obiettivi politici di egemonia di vario genere.
Suggerito da Il Jester
Gli italiani ci sono cascati in pieno. Sono cascati in una fitta rete mediatica, intessuta un anno fa e forse anche più. Si è partiti con i soliti scandali giudiziari – molti dei quali finiti in un nulla di fatto – per giungere al bluff dello spread, che ha giustificato il governo tecnico e dunque un passaggio significativo dell’Italia da una democrazia assistita a una falsa democrazia. In questo ultimo anno abbiamo svenduto la nostra sovranità all’euro e siamo diventati un satellite della Germania e dei poteri forti finanziari, i quali – senza sconti e forti dello spread – ci hanno imposto il pareggio di bilancio, il MES e il fiscal compact. I maggiori sostenitori di questa politica obbrobriosa? Coloro che rischiano oggi di vincere, non senza la complicità degli altri.
Se gli italiani non sono degli allocchi, poco ci manca. Ma è altrettanto vero che anche il centrodestra ha fatto i suoi grossi errori e ha perso la sua grande occasione di capitalizzare il consenso elettorale del 2008, dissipandolo in una diffusa ed evidente incapacità di strutturarsi e radicarsi sul territorio e di formare una classe politica giovane e dinamica che non dipendesse esclusivamente dal leaderismo berlusconiano e che anzi fosse capace di andare oltre questo leaderismo, gravato comunque di molte ombre. E questo nonostante io sia ben consapevole di quanto sia estremamente difficile attuare questo obiettivo in un paese istituzionalmente conservatore come il nostro, dove prevale un’alchimia politico-istituzionale davvero nauseabonda: un mix di parlamentarismo paludoso, giustizia politica e comunismo culturale. Un mix che di fatto impedisce e ha impedito la maturazione democratica piena del nostro paese attraverso quelle riforme istituzionali e svecchiamento costituzionale che avrebbero dovuto (e potuto) mettere l’Italia in pari rispetto alle altre grandi democrazie mondiali.
La verità è che qualcuno ha interesse che l’Italia rimanga quella che è: un paesotto provinciale, dove vige la cultura del trasformismo, dove la politica si esaurisce nelle feste dell’Unità e dove ci si scanna per un tozzo di pane. È sempre stato così, e le cose non sono affatto cambiate dal crollo del muro di Berlino. Viviamo in una democrazia amputata, anomala, disordinata ed eccessivamente sensibile alle influenze esterne. E purtroppo questo stato di cose rischia ora di peggiorare con la possibile vittoria del centrosinistra e nel caso di un’alleanza con il montismo. In tali ipotesi, non usciremo più dal tunnel, e qualsiasi libertà verrebbe costretta in nome dell’Europa e dell’ossessione del politicamente corretto.
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Sarà davvero un periodo buio. Un assaggio lo abbiamo avuto in quest’ultimo anno con il governo tecnico. Nel nome dello spread e dell’euro, gli italiani hanno dovuto sopportare politiche di rigore tra le più feroci e insensate della storia della nostra repubblica. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: recessione, crollo della produzione industriale, delocalizzazione, disoccupazione, pessimismo diffuso, pressione fiscale alle stelle, diffidenza, fallimenti. E le cose sono destinate a peggiorare, sia sul lato economico, ma anche sul lato sociale.
E badate, non lo sostengo perché sono di destra e dunque perché mi viene naturale avversare la sinistra e i suoi alleati palesi od occulti (Monti), ma perché in Italia questa sinistra è una sinistra anomala. Il DNA comunista non lo si può rinnegare con un voto in un congresso o semplicemente cambiando il nome di un partito, così come un uomo non può rinnegare il proprio DNA, cambiando le proprie generalità anagrafiche. C’è ed è un dato di fatto inconfutabile. Poi, certo, ognuno può fare i mea culta e la propaganda che vuole, ma sono i suoi programmi, il suo modo di percepire e proporre la democrazia e la libertà che lo tradiscono come uomo di sinistra.
Dunque, l’italiano si troverà – per l’ennesima volta – a dover scegliere tra sistemi e concezioni di vita diversi. Tra chi ha a cuore l’Italia in quanto nazione, la famiglia naturale in quanto mattone fondamentale della società e l’iniziativa economica privata quale motore unico dell’economia, e chi invece ritiene che per essere italiani sia sufficiente avere il passaporto italiano, che la famiglia è qualsiasi coppia che viva sotto lo stesso tetto e che l’economia debba essere il frutto della concertazione ideologica tra imprenditori e sindacati.
La questione è tutta qui. Il tipo di scelta, a questo punto – se davvero si ha a cuore l’Italia e gli italiani – è quasi un obbligo, indipendentemente dalle favole, dalla propaganda e dai faccioni bonari.