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Camusso a Renzi: “Un’ora sola ti vorrei”. E sul perché il renzismo non fa per me.

Creato il 06 ottobre 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
imagesdi Rina Brundu. Mi si dice che non si comprende questa mia sfiducia nel renzismo. Mi si dice che Renzi fa “bene quello che fa. Si critica per il suo parlare e il poco fare. Il problema è che il fare richiede tempi lunghi”; mi si dice che “si assimila Renzi a Berlusconi, ma sono distantissimi: Berlusconi è un formidabile venditore, Renzi un vero comunicatore”; mi si dice che “Berlusconi non è mai stato capace di esprimere e difendere un percorso politico – economico credibile al contrario di Renzi che ha chiarissimo il percorso da fare, lo esprime con chiarezza.”. Con tutto il rispetto per le diverse persone che mi hanno fatto obiezioni simili a queste, dico: balle!, il renzismo non fa per me.

Back to square one. Non ho mai votato, se non forse la prima volta, quando compii 18 anni. Erano gli edonistici anni 80 e pur senza averne memoria certa ritengo di poter essere stata adolescente rincoglionita abbastanza da bersi gli slogan cool sull’”Italia da bere” che andavano di moda in quei giorni, e quindi di avere votato craxianamente. Non ho mai votato a sinistra di Nostro Signore e neppure per Berlusconi, nonostante in tempi successivi, quando il radical-chichismo italico pur di colpire colui non esitava a sputtanare il mio Paese all’estero, la tentazione di farlo fosse forte. Giustifico le mie “tentazioni” giovanili più che come un’identificazione politica a destra, con il mio innato nazionalismo che soprattutto allora era un sentimento che sentivo abbastanza vivo dentro. Confesso che non è più così perché il renzismo non fa per me.

Mi ripeto, non ho mai votato. Vivendo all’estero ho sempre ritenuto che non fosse un mio diritto votare in Italia, dato che in Italia tasse non ne pagavo e meglio sarebbe stato che il mio voto fosse stato dato a un qualche immigrato che colà ci viveva. Naturalmente non ho mai votato neppure qui in Irlanda: la politica irlandese è noiosa perché funzionale alle vere necessità del Paese, gli scandali sono rari e le ruberie, quando comparate a quelle della nostra storia recente, fanno sorridere alla stregua del bimbo che ruba la caramellina dall’avito cassettone della nonna. Insomma, qui la politica è soporifera perché risponde esattamente al suo fine: gestire l’ordinario e lo straordinario collettivo e farlo senza creare “star” politico-mediatiche.

Star politico-medicatiche come il nostro Matteo Renzi, appunto. Ed ecco, ancora, perché il renzismo non fa per me. Per quando mi riguarda i leader politici validi potrebbero pure essere identificati anche soltanto dentro queste due macro-categorie: leader “misurati”, composti, fondamentalmente anonimi, come gli irlandesi già descritti, oppure i grandi leader carismatici alla Nelson Mandela, alla Martin Luther King, per certi versi anche alla Angela Merkel e senz’altro alla Margareth Thatcher. Ma se Renzi non fa equazione con i leader anonimi dell’Isola Smeralda, meno che meno fa equazione con i grandi leader testé citati. In primis non ha la statura di quei grandi, soprattutto non ispira. Non è neppure quel “comunicatore” che mi si vuol fare credere perché comunicare non significa ripetere cento volte al giorno e cento giorni in-a-row la stessa tiritera a priori, prima cioè che il risultato sia stato ottenuto. Anche il “percorso” che secondo taluni il nostro Premier avrebbe chiaro davanti, se si andassero a vedere veramente le carte, si scoprirebbe che è fatto di cliché anche abbastanza obsoleti, valga per tutti quel cavalcare la questione del non-fatto e non-detto dai sindacati nelle ultime decadi: mi domando, serviva forse Renzi per farci scoprire quest’acqua calda? Meglio, centomila volte meglio, il pragmatico Mario Monti del governo dei tecnici che con una dignità unica ha portato avanti uno “sporco” lavoro in un momento difficilissmo, quando quegli stessi politici causa e concausa del “problemi” di fondo che si tentava di arginare se ne guardarono bene dal metterci la faccia!

Anche il paragone con Berlusconi a mio avviso non regge. Si può dire ciò che si vuole, ma, nel bene e nel male, quando vent’anni fa scese in politica Berlusconi scombussolò l’ago della bilancia e lo fece scontrandosi con avversari di una data sostanza; allo stesso modo nessuno può negargli il suo saper trasformarsi in un trascinatore di folle (anche di folli, ma questa è un’altra storia!). Matteo Renzi, al contrario, ha stravinto nel deserto procurato dall’epocale crollo di sistema che abbiamo avuto in questi anni; da qui il mismatch tra “elettori” e “iscritti” al partito lamentato da Bersani nei giorni scorsi, da qui il dubbio che il successo ottenuto possa essere bissato fra tre anni. Non mi piace ammetterlo però questa volta sono davvero d’accordo con l’ispirato disegnatore di una recente copertina (quasi eliotiana nell’essenza significazionale), del The Economist, laddove si scorgeva la fragile barchetta europea capitanata con sicumera dalla Merkel, seguita a ruota da un Hollande indeciso e quindi da un Matteo Renzi ragazzino occupato a slinguare un gelato; il tutto mentre Mario Draghi, a poppa, si affannava a ributtare in mare l’acqua che già li stava faccendo affondare.

Ma il renzismo non fa per me anche perché gli manca la passione. I vari rappresentanti DEM, Mineo, e chi per loro, di fatto non hanno tutti i torti nel voler proteggere la loro storia e la loro identità. Certo, bisogna cambiare, e chi non sa adattarsi al cambiamento è destinato a perire, ma che cambiamento può rappresentare una sinistra come quella renziana? Dove porterà? E in cosa si differenzia dalla destra se anche lo stesso Berlusconi li sta superando a “sinistra” sui diritti dei gay e su tante faccende correlate?

Un’ora sola ti vorrei, ha mandato a dire goliardica la Camusso quest’oggi a Matteo Renzi, sempre a proposito dell’endemica questione della riforma lavoro. Contenta lei… il renzismo non fa per me!

Featured image, The Economist, cover.


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