Canada: il Ritratto di una Normale Famiglia Americana

Creato il 08 luglio 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Antonio Agosta 8 luglio 2013

«L’uomo è come un avvoltoio, gira attorno a un cadavere per cibarsi delle carni di colui che non ha più risposte». Dell Parsons, protagonista di Canada, romanzo edito da Feltrinelli con la traduzione di Vincenzo Mantovani, è un figlio, un fratello e un uomo non più giovane, trascinato da un flusso mentale di domande e di pochissime risposte. Un uomo che gira attorno alla propria esistenza, priva di ogni logica costruzione. Il Canada è la terra delle incertezze. È il territorio metaforico dell’esilio. Quel luogo privo di futuro. Lo stesso luogo dove tutti, prima o poi, transitiamo o finiamo la nostra esistenza. La vita ha una linea di confine, tracciata tra il nostro mondo presente e quello che vorremmo avere. Quasi un universo parallelo, ideato e immaginato da qualcuno per noi. L’autore del volume, Richard Ford, in passato vincitore sia del Pulitzer che del Premio PEN/Faulkner per la narrativa, con il suo nuovo libro vuole raccontare la delicata vicenda di un ragazzino di appena quindici anni. Il protagonista della storia si chiama Dell. Dell viene abbandonato dai suoi genitori, improvvisamente e senza ricevere risposte valevoli. La storia inizia in Montana, Stato Federato degli Stati Uniti d’America. Siamo nel 1960. Dell cresce in una famiglia apparentemente serena. Il padre è un militare in pensione, la madre una maestra forse priva di vera vocazione e Berner è la sorella gemella dalla quale non riuscirà mai a staccarsi del tutto. Dell e Berner vivranno nell’ombra di due genitori repressi da una vita ostile. Il padre, Bev, è convinto che nella vita sia lecito ingannare il prossimo. Modo di pensare che è soltanto conseguenza della necessità di sopravvivere, soprattutto per chi ha moglie e figli a carico. La madre, Neeva, diminutivo di Ginevra, sogna un mondo ovattato dai colori della poesia e di un affresco bello da ammirare. Crede sia possibile una realtà suggestiva, figlia della pittura e di versi ben scritti. Non immagina di aver sposato un uomo che traffica illecitamente carne rubata. Un uomo che per quanto le voglia bene è probabilmente troppo diverso da lei. La vicenda è narrata dallo stesso protagonista, Dell, non più giovane, professore d’inglese ormai prossimo al pensionamento. Lo fa attraverso i ricordi di un quindicenne in cerca di risposte, risposte che mai arriveranno.

Richard Ford ti coinvolge fino all’ultima pagina, seguendo due direzioni opposte. Da un lato mitiga la tristezza e il dolore, tende ad affievolirle, cercando una soluzione silenziosa al problema. Dall’altro, cerca di restituire il quadro di un’epoca caratterizzata dalla “middle class”, il ceto medio americano. Il racconto per certi versi ricorda il film I tre giorni del Condor, diretto nel 1975 dal regista Sydney Pollack. Nel romanzo di Ford non abbiamo un commando di sicari che elimina degli inermi impiegati della CIA, né un Joseph Turner (Robert Redford nella pellicola) che, invischiato in un complotto più grande di lui, dovrà aguzzare l’ingegno per sfuggire a chi lo vuole morto. In comune con l’opera di Pollack c’è però la consapevolezza dell’abbandono di un mondo avverso e di un futuro che non prevede il ritorno alla normalità. Per il giovane Dell, infatti, il futuro sarà intriso dei ricordi di una strana adolescenza e la normalità sarà sempre sognata e, salvo rari momenti (forse rappresentati dalla scuola e dai libri), mai realmente vissuta. Nell’esistenza del protagonista di Canada ci saranno due eventi che caratterizzeranno la fine della sua giovinezza: l’arresto dei suoi genitori per una rapina in banca e il distacco dalla sorella gemella Berner. Per entrambi Dell chiederà una spiegazione, cercherà di capire il perché di quel destino così crudele accanitosi contro lui e la sua famiglia. Non ci saranno risposte e l’avvoltoio gira ancora attorno all’uomo per nutrirsi delle sue carni. «Quello che so è che nella vita hai migliori possibilità – di sopravvivere – se sopporti bene le sconfitte; se riesci a non diventare cinico nel corso di questo processo; se riesci a subordinare, come indicava Ruskin, a mantenere le proporzioni, a collegare le cose disuguali in un intero che protegga quanto c’è di buono, anche se bisogna riconoscere che spesso il buono non è semplice da trovare. [...] Ci proviamo, come disse mia sorella. Ci proviamo. Noi tutti. Ci proviamo».


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