Cancellare: dovrebbe divenire un imperativo categorico.
Hanno ragione certi architetti ed urbanisti che, considerando quanto sia sfigurato l’orizzonte delle nostre città, consigliano di annullarlo. Finestre e porte-finestre prospettano su orridi casermoni, intrichi di antenne, tetre strade. Così, se ne abbiamo la possibilità, sarà opportuno ingentilire davanzali e terrazzi con vasi in cui coltivare fiori ed erbe aromatiche, con graticci dove lasciar crescere i rampicanti, ove installare frangivento, bersò e bordure. E’ meglio addirittura un parterre di piante artificiali che una skyline deturpata dalla speculazione edilizia e dai grovigli chimici.
E’ oggi pressoché impossibile favorire una simbiosi tra esterno ed interno, lasciar penetrare la luce solare, fondere il cielo con le pareti di una stanza. Così siamo costretti ad inventare gli spazi, a ricrearli secondo nuove prospettive e modalità.
E’ necessario distruggere per costruire, cancellare per disegnare. Persino un trompe l’oeil o dei faretti possono aiutarci ad evocare un piccolo eden dove il naturale e l’artificiale si integrano. Linee e tinte si insinuano, si intrecciano. Le differenze si ammorbidiscono, gli angoli si smussano.
E’ un ripiego, ma può essere anche una scelta estetica come l’esigenza di riprendere, attraverso l'intarsio dei colori ed il pentagramma delle forme, l’abitudine a contemplare il mondo esterno. E’ una consuetudine che è il preludio dell’introspezione.
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