Mi ha stupito perché se l’iniziativa è partita ufficialmente dal delegato della Bolivia è stata in realtà portata avanti dall’Argentina che recentemente è stata vittima del ricatto degli hedges found statunitensi i quali si sono rifiutati di aderire alla ristrutturazione del debito, accettato invece dalla massima parte dei creditori, sulla base di una sentenza della corte suprema Usa. E’ lecita, razionale, ammissibile una dinamica del genere ovvero l’assenza di una tribuna internazionale che eviti i fin troppo chiari conflitti di interesse e che faccia della contabilità spiccia l’unico “sovrano” riconosciuto? E’ pensabile un diritto internazionale che abbia come base l’assenza del medesimo e l’arroganza del più forte? Secondo la maggioranza dei membri dell’Onu no e anche secondo molti economisti ( tra cui Galbraith, Piketty e Varoufakis) che avevano appoggiato con un documento la risoluzione Onu.
Il rispetto della sovranità e della sostenibilità dovrebbero essere alla base delle questioni che riguardano la sostenibilità del debito anche per non lasciare interi Paesi e interi popoli alla mercé degli avvoltoi che poi per il proprio interesse mettono anche a rischio la stabilità globale. Insomma la ristrutturazione del debito si potrebbe configurare come un diritto di fronte agli eccessivi sacrifici imposti per pagarlo. Ma niente è esplicativo delle intenzioni e delle idee quanto l’elenco dei Paesi che hanno votato no a una risoluzione che in questo stadio e poco più di una esortazione: Usa, Gran Bretagna, Canada, Israele, Giappone e Germania, ossia il display del Washington consensus, i “sinistri maestri di opulenza” come ha detto il rappresentante argentino, che risucchiano ricchezza da ogni parte, attraverso i meccanismi della finanza.
Ed ovvio che sia così, la sola esistenza di un organismo internazionale deputato a dirimere le questioni riguardanti un eventuale ristrutturazione e cancellazione del debito, sottraendolo alla legge del più forte farebbe diminuire il potere di ricatto dei potentati e dei diktat liberisti sulla società e sulla politica, costituirebbe un meccanismo per controbilanciare la polarizzazione della ricchezza in pochissime mani. Strano che il Papa argentino non abbia nemmeno accennato a una risoluzione che prende le mosse proprio dalle vicende del suo Paese e che in definitiva si configura come contrasto all’impoverimento. Non lo ha fatto sia perché la chiesa si ferma in genere all’apologo morale che contenta chi rema nella stiva e che dà poco fastidio a chi naviga in coperta, sia perché una simile presa di posizione sarebbe stata come una bomba su un’Europa, divisa anche su questo: rendere basilari, in fatto di ristrutturazione del debito, i temi della sovranità, della fattibilità e della sostenibilità dei sacrifici spunterebbe non poco l’arma del debito brandito come strada a senso unico per la politica. E che sia un organismo internazionale a decidere, renderebbe di fatto impossibili vicende come quella greca.
Forse è proprio per questo che ne sappiamo poco o niente.