Sarebbero solo due forestieri, David e Amy, guardati con sospetto e poco più, se lei non fosse tanto carina, un po’ civetta e molto ambita dai cervelli più piccoli e violenti del villaggio: quegli straw dogs del titolo originale, che meriterebbe un saggio a parte solo per approfondirne l’interpretazione nelle sue sfumature semantiche. Marito e moglie, però, sono un bersaglio troppo facile da molestare: perché litigano più di quanto vorrebbero e perché lui, genio matematico ma scarso conoscitore della (cattiva) natura umana, si mette in casa – come operai – quegli stessi straw dogs che non vedono l’ora di violentare Amy.
Possiamo affermare, allora, che l’origine di tutta la violenza cui assistiamo nella seconda metà del film è nella cecità di David, la quale sopravvive a tutte le richieste d’aiuto di Amy. A nulla servono i tentativi della donna di liberarsi di quegli uomini, che pure aveva contribuito a far entrare in casa sua. Al conflitto principale tra indigeno e straniero si aggiunge quello tra l’uomo e la donna, enfatizzato da tanti particolari che la squadra di Peckinpah cura con molta attenzione. Il montaggio video, in primo luogo: quei brevissimi flashback che riaffiorano nella memoria di Amy, una manciata di fotogrammi, sono più violenti della forza bruta dei due violentatori. Il montaggio audio, poi: i ponti sonori che collegano le urla e i gemiti di piacere di Amy, semi-complice, alla scena in cui David caccia beatamente le anatre, chiedendosi perché mai i cani che lo avevano accompagnato non sono più con lui.
E tutto ciò non è meno violento del sangue che scorre dopo, delle morti che si susseguono come i figli di un coniglio, del silenzio di Amy di fronte all’ingenuità del marito, che forse non immagina quello che è già successo, anche se troppo tardi si accorge di temerlo. Sebbene la crudezza sia spesso esplicita, non è questo il motivo per cui Peckinpah è così apsro da guardare: lo è perché pensa al modo più semplice e apparentemente meno nocivo di incollarci le palpebre alle sopracciglia e farci ingoiare tanta crudeltà. Ma sa che la brutalità è in quello che noi immaginiamo, dopo i viscidi controcampi e piani d’ascolto dei carnefici. E la nostra coda di paglia prende fuoco, insieme agli occhi di quei cani.
Archiviato in:Cinema Americano, Cinema Inglese, Recensioni Film Tagged: cane di paglia, critica cinematografica, Dustin Hoffman, recensioni film, sam peckinpah, straw dogs, susan george