Cannes 2012 – Un Certain Regard: Antiviral

Creato il 20 maggio 2012 da Masedomani @ma_se_domani

(c) PREMIER PR UK

Esordio alla regia di un vero e proprio figlio d’arte, Brandon Cronenberg, mentre attendiamo di vedere la nuova opera del padre che verrà presentata il prossimo venerdì sulla medesima sponda del Mediterraneo.

Di questo film si sapeva poco o nulla se non quanto diffuso tramite la cartella stampa ufficiale che, come sempre più spesso accade, è stata affidata ad una penna superlativa. Questa volta la accattivante sinossi lasciava presagire due ore scarse a cavallo tra il thriller e l’horror, un combo imperdibile per una mangiatrice di zombie come la sottoscritta.

Aspettativa forse troppo alta, fatto sta che ai miei occhi si è presentato un film difficile, che pareva essere un manifesto ad uso e consumo familiare, una vera e propria provocazione rivolta al celebre padre per ottenere ciò a cui ogni figlio dalla notte dei tempi anela, ossia che il papy infine ammettesse al figliuol prodigo di essere stato veramente… bravo. Certo, il ragazzo ha una marcia in più rispetto ad altri concorrenti, è cresciuto in un ambiente in cui potrei scommettere che a Natale ricevesse stabilizzatori di immagine, treppiedi ed altri simili gingilli e non è difficile immaginare un adolescente Brandon alle prese non di motori e trasmissioni bensì con obiettivi e zoom.

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La qualità della pellicola è alta, la macchina da presa è in mani sapienti, il genere d’immagini volute è chiara anche ad un ipovedente, ma il risultato è una narrazione a singhiozzo, una colonna sonora che alterna silenzi soporiferi a psichedeliche musiche da 40 gocce di Novalgina e due ore che vengono percepite come più del doppio. Il regista pare fare un summa dell’alta filmografia degli ultimi trent’anni con un occhio di riguardo verso quella di casa propria. “Antiviral” è una buona idea (quindi salviamo la sceneggiatura scritta dallo stesso Brandon Cronenberg) ma non è provocatorio come Crash, non è fanta-horror come La Mosca e non è fuori dagli schemi, tanto oscuro quanto intrigante, come ExistenZ.

Ammetto quindi che avrei preferito vedere un film con una propria identità, che non fosse alla constante ricerca di una provocazione che non arriverà mai, non necessariamente un dramma o pseudo tale ma con dei tratti distintivi che lo rendessero unico. Certo, non tutti gli esordienti possono essere geniali come Steve McQueen ma non per forza devono rendere una platea insofferente e provocare applausi in chiusura per la gioia di poter lasciare la stanza.

Comunque, qualora vi steste domandando cosa diamine ho visto, ecco diciamo che siamo in un presente alternativo o in un futuro non troppo lontano in cui la gente paga per farsi iniettare i virus contratti dai propri beniamini, star di cinema o musica, ma in forma  non contagiosa. Qualcosa però andrà storta e si scoprirà durante la parte thriller-a-singhiozzo che il protagonista furbetto si ritrova invischiato in un mercato nero più grande di lui in cui a fatica deve cercare di rimanere in vita.

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Il finale sfiora il ridicolo quanto a forzature, immagini sputa sangue e suggerimenti che facciamo finta di non cogliere, perchè una riflessione sulla odierna società effimera e sui confini sino ai quali ci si debba spingere con le nuove tecnologie nel campo medico andando incontro alle regole del mercato non le vogliamo sentire da questo messaggero.


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