Cannes 2015: i 5 film che ho visto oggi mart. 19 maggio (Inside Out, Sicario, ecc.)

Creato il 20 maggio 2015 da Luigilocatelli

Inside Out

1) Sicario di Denis Villenuve. Concorso.
Un film di genere alla Compétition, tant’è che qualcuno ha storto il naso. Invece Sicario del québecois Villeneuve, già rgistra del magnifico Incendies e di Prisoners, si è conquistato ampoiamente il diritto di cittadinanza a Cannes. Missione americana, con aiuto di un misterioso uomo venuto da oltre la Frontera, per stroncare militarmente un cartello messicano del narcotraffico. Doppi e tripli giochi. Twist che non t’aspetti. Con massacro finale da teatro elisabettiano. Un action-bellico cui Villeneuve imprimo il suo segno d’autore e immette il suo senso per il male. Che dilaga dapppertutto e inquina anche il bene. Si salva solo l’angelica Emily Blunt, agente Fbi. Il resto è un verminaio. Con Josh Brolin e un Benicio Del Toro torvo più che mai. Voto 7
2) Alias María di José Luis Rugeles Garcia. Un certain regard.
In un altro inferno latinoamericano, quello dell’eterna guerra in Colombia tra gli ambigui ribelli delle Farc e esercito e gruppi paramilitari. E all’interno di una squadra delle Farc ci porta questo film di un giovane regista colombiano poco più che trentenne, con protagonista una ragazza di nome Maria che resta incinta del suo comandante. Ma la regola è quella dell’aborto obbligatorio: “Non possiamo riempire la foresta di bebè”, dice il medico. Lei però il figlio se lo vuole tenere, e cercherà di scappare. Parte come tanti film terzomondisti, poi decolla e si complessifica, mostrandoci come i guerriglieri sappiano essere feroci quanto e peggio delle squadracce paramilitari. Pietà l’è morta, in questo durissimo film. Con la sottotrama di un bambino che, essendo figlio del capo e della sua compagna, non è stato abortito, e che diventerà la vittima sacrificale delle violenze incrociate. Voto 6 e mezzo
3) Taklub (Trap) di Brillante Mendoza. Un certain regard.
Il più famoso regsta filippino insieme a Lav Diaz gira un affresco sui sopravvissuti al tifone Hayan che ha devastato il paese. Tra documentarismo e fictionalizzazione, ritratti di gente che non aveva niente e che è rimasta anche senza quel niente. Ognuno con i suoi morti da piangere, una vita da rimettere in sesto. Donne coraggiose che tengon insieme come possono i pezzi rimasti della famiglia. Un incendio ch devasta la tendopoli degli accampati. Il rifugio nella religione e nei suoi riti. Mendoza gira benissimo, e questo lo sapevamo già. Ma non ce la fa ad andare oltre l’edificante e il convenzionale, e i momenti di forza sono pochi. Anche se la lunga sequenza della tempesta e della minaccia di un nuovo tsunami è starordinaria. Degli effetti di un tifone delle Filippine si era già occupato Lav Diaz con il documentario Storm Children, Book 1, presentato allo scorso Torino Film Festival e migliore di queto Taklub. Voto 5 e mezzo
4) Inside Out di Pete Docter. Fuori concorso.
Si son lette recensioni strablianti di questo nuovo Pixar movie dopo la prima mondiale di ieri (io l’ho recuperato solo oggi alla Salle du Soixantième). Per molti il miglior film di questo Cannes e il migliore film di sempre di casa Pixar. Dissento. Il concept è straordinario, di una raffinatezza e complessità come poche volte nel cinema di massa. Ma non tutto funziona, anzi. Storia di una ragazzina di nome Riley di undici anni, e delle emozioni di base che regolano il suo cervello, il suo umore, la sua vita. Emozioni che diventano personaggi, e che vediamo agire alla console di un quartiere centrale cerebrale determinando con l loro decisioni quello che capita a Riley e come lei lo percepisce. Idea semplicemente pazzesca, che pure diventa un film di massima godibilità. Leader delle emozioni al lavoro è Gioia, mentre il suo opposto è la cuperrima e sfigata Tristezza. Ma ci sono anche Paura, Rabbia e Disgusto. Si resta ammirati per il coraggio degli autori, e per la sottigliezza della trovata, e per le meravigliose invenzioni narrative (quella trasformazione astratta e cubista di Gioia e i suoi compagni!). E però. Però bisogna pur dire che la trama è contorta e lambiccatissima, che le zone oscure son più di quelle chiare e comprensibili, che il personaggio di Tristezza non si capisce che funzione abbia (e perché Gioia, che l’ha sempre osteggiata, alla fine la apprezzi). Diciamo che siamo, in versione Pixar, tra Il mago di Oz e Inception. Con un aspetto molto, molto inquietante. Che la povera Riley è una marionetta priva di libero arbitrio, il cui agire dipende solo da quel che fanno le Emozioni alla console. E questo, consentitemi, è agghiacciante, è il frutto di una visione meccanicistica e veterodeterministica del funzionamento della mente umana. Tant’è che se nel film al posto delle Emozioni ci fossero, poniamo, delle figure che rappresentano ciascuna uno psicofarmaco, il risultato sarebbe lo stesso. Voto 7 meno
5) Shan He Gu Ren (Mountains May Depart) di Jia Zhang-Ke, Concorso.
Sulla carta, uno dei favoriti della Palma. Ma il film, la cui proiezione stampa è stata funestata da problemi tecnici (sottotitoli inglesi non funzionanti, immagini sovrapposte), ha abbastnza deluso, anche se alla fine l’applauso è stato calorosissimo. Feuilleton girato nello stile robusto, e con la consueta muscolare carica emotiva, dal cinese Jia Zhang-Ke. Nella Cina anni Novanta due amici amano la stessa donna, ma lei, Tao, scegelierà e sposerà il più furbo, quello che ha fatto i soldi e ancora di più ne farà. Quando nascerà il loro figlio, lui lo chiamerà Dollar. Molti anni dopo l’amico abbandonato torna, malato in fase terminale, mentre Tao ha divorziato e si è vista portare via il figlio dal marito diventato nel frattempo un caid della finanza a Shanghai. Il terzo atto di Mountains May Depart si svolge nel futuro, nel 2025, ed è una resa dei conti affettiva e non solo. Momenti meravigliosi (come il funerale del nonno), ma la terza parte è assolutamente balorda. Chiara l’intenzione di raccontare attraverso la storia di Tao, dei suoi due amici, e di suo figlio, la storia maggiore della Cina, della sua trasformazione in paese socialista-capitalista con l’avvento dei nouveau riches selvaggi e vitalistici. Film grandioso e insieme sghangherato e kitsch. Da rivedere. Intanto: voto tra il 6 e il 7


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