Anno: 2013
Durata: 84′
Genere: Horror/Drammatico
Nazionalità: Danimarca
Regia: Jonas Alexander Arnby
“E’ stato un lungo viaggio dalla Danimarca fino a qui”: così Jonas Alexander Arnby presenta in anteprima alla Semaine De La Critique del Festival di Cannes, “in onda” all’Espace Miramar della Croisette, il suo When Animals Dream, un film di protesta, che dipinge il ritratto di due donne forti che si ribellano alla comunità.
In un piccolo villaggio di pescatori della Danimarca si consuma il dramma familiare di Marie (Sonia Suhl) e di sua madre (Sonja Ritcher); alla giovane iniziano a formarsi delle eruzioni cutanee, che poco hanno a che vedere con un problema di “superficie”: durante il film si assiste a mutazioni che la rendono feroce e aggressiva come un lupo, disturbo del quale anche sua madre aveva sofferto. La donna sembra completamente assente, inerme, assistita dalle cure del marito e della figlia. E se il primo ha contribuito a questo suo stato vegetativo, consentendo al medico di somministrarle dei potenti sedativi, Marie non riesce ad accettare la situazione.
Quando si accorge che anche a lei sta per toccare la stessa sorte, si lascia travolgere dall’aggressività, che si propone proprio nei momenti di vita più difficili, quando non si sente amata, compresa e accettata, per alternarsi ai momenti di dolcezza che le regala Daniel (Jakob Oftebro), che sembra l’unico a riuscire a domare la bestia che è in lei. Non conosciamo le origini di questo fenomeno, se non un breve accenno in una conversazione tra Marie e Daniel –ed è Daniel stesso a dirlo a Marie- che alla gente del villaggio una donna bella come sua madre (e probabilmente coraggiosa e fiera di sé) faceva invidia; e anche Marie suscita gli stessi sentimenti, nonostante la sua giovane età e i contorni ancora abbozzati di donna.
All’apparenza When Animals Dream può sembrare un horror, particolarmente nella seconda parte , quando i colpi di scena tipici del genere si fanno più frequenti (e feroci); in realtà potremmo ricercare una matrice psicologica alla trasformazione subita dalle due donne: si fa fatica ad essere sé stessi e ad accettarsi, ed è ancora più faticoso se intorno ci sono persone che ribadiscono quotidianamente che il nostro modo di essere è sbagliato e questo a volte ci fa comportare come vorrebbero gli altri, per sentirsi riconosciuti e accettati; ed ecco allora che piano piano un mostro dentro di noi prende forma per scatenarsi nelle forme più improbabili, affiorando dalla pelle come un semplice arrossamento cutaneo per poi espandersi fino all’anima, rischiando così di fare male a chi ci vuole davvero bene.
La luce del film riesce ad esprimere perfettamente il contrasto tra ciò che si è, o meglio, ciò che dobbiamo essere per compiacere gli altri, e la ricerca di ciò che si vorrebbe essere: i contorni nitidi dei tetti spioventi che costellano il piccolo villaggio si alternano a quello abbozzati del mare in tempesta e delle visioni oniriche della protagonista; fa risaltare, inoltre, la sensualità nello sguardo di Marie, proprio mentre si sta trasformando in un animale, quasi a voler sostenere la sua metamorfosi, che per raggiungere la consapevolezza di giovane donna adulta deve passare per il mare in tempesta della sua rabbia.
Anna Quaranta