Ciò detto, Brody e Argento - completamente estraneo alle beghe produttive - sono rimasti in ottimi rapporti, tanto che l'attore straniero avrebbe lodato Dario e la figlia Asia come due grandi professionisti, spendendo parole stupende anche sull'esperienza italiana che gli ha permesso di incontrarli.
Ma che dire di "Giallo"? Assassino affetto da ittero, malattia che rende giallastra la pelle del suo viso, rapisce bellissime ragazze straniere con un taxi e si diverte a usare la ferramenta nuova sulle malcapitate (forse perché teme che non gli paghino la corsa). Ultima preda, una modella che scompare dopo una sfilata, mentre rientra a casa per raggiungere la sorella appena giunta a Torino. Sarà quest'ultima a incentivare le indagini in una corsa contro il tempo per salvare l'ostaggio destinato a morte quasi certa. Segno riconoscitivo dell'assassino a parte, niente è giallo in questo film, nemmeno il taxi che trasporta le vittime. L'identità del colpevole - che io pensavo essere lo stesso ispettore Enzo Avolfi (Adrien Brody) - è svelata appena nel secondo tempo. Regia e fotografia sono impeccabili; Brody - premio Oscar per "Il pianista" di Roman Polanski - interagisce con i mille volti della splendida Torino come se ci fosse nato e si conferma un attore straordinario mentre rievoca i propri traumi infantili (l'uccisione della madre in sua presenza) in quello che sembra essere un omaggio a "Profondo Rosso". Ma qui sprofondiamo, piuttosto, in una trama senza ambizioni e da episodio televisivo - come ne "Il Cartaio" - e in dialoghi appena sufficienti a non scadere nella banalità.
Se sui diritti di "Giallo" si litiga così tanto ma è già reperibile nei negozi, perché per "4 mosche di velluto grigio" dopo 40 anni ciò non è ancora possibile?