Si è conclusa il 24 febbraio scorso l’esposizione Robert Capa in Italia, 1943-1944, presso il Museo Nazionale Alinari della Fotografia, già accolta dal Museo di Roma Palazzo Braschi, e curata da Beatrix Lengyel, in occasione della triplice coincidenza dell’anno di Cultura Ungherese in Italia, del centenario della nascita del fotografo e dei 70 anni dallo sbarco degli Alleati in Italia.
78 scatti in bianco e nero raccontano la fine della Seconda Guerra Mondiale nel nostro Paese: gli avvenimenti bellici – dallo sbarco in Sicilia nel luglio 1943, alla resa di Palermo, ai combattimenti di Montecassino - e la vita civile in quei giorni critici: la fuga nelle campagne, la gente che si muove nei paesaggi devastati dal conflitto, una coppia che ha appena comprato il pane, gente in fila per l’acqua, bambini che ascoltano, incantati, un militare americano o che chiacchierano col parroco.
Un soldato alleato accenna un sorriso, mentre un pastore siciliano gli indica la via presa dai Tedeschi: si è accovacciato a terra per ascoltarlo, e pure così è quasi più alto del pastore. Un donna in fuga porta con sé poche povere cose, sembra intuire lo scatto e vi si presta con fierezza. Un giovane uomo, coi capelli ordinati dalla riga centrale e la sigaretta tra le labbra, prende in braccio una bambina ferita e spaventata.
Una bella ragazza siciliana sorride civettuola ad un soldato americano, mentre un commilitone si fa pulire gli scarponi da un anziano lustrascarpe. E’ forse, questo, tra gli scatti più emozionanti e vivi della collezione: l’ingenuo entusiasmo, il sollievo della tregua, l’uscita dall’anonimato che il combattimento impone a tutti, militari e civili, giovani e vecchi.
In esposizione permanente al Museo Nazionale Alinari, è anche lo scatto, tra i più famosi di Robert Capa, del miliziano colpito sul fronte di Cordova durante la guerra civile spagnola.