Capaci…di salvarci

Creato il 23 maggio 2012 da Nottecriminale9 @NotteCriminale
di Nicola Baldarotta
Se penso a quale cosa non potrò mai dimenticare quando sono arrivato sul luogo dell’attentato, il giorno della strage, è l’odore di carne arrosto di cui l’aria era ancora pregna. L’allora mio direttore responsabile dell’emittente televisiva dove avevo iniziato a muovere i primi passi da giornalista, mi iviò, insieme alla troupe tecnica, a Capaci per fare i dovuti servizi sull’accaduto.
Arrivammo fra i primi. Praticamente subito dopo che erano sopraggiunte le forze dell’ordine.
Non so se avete mai provato a bruciarvi un capello, l’odore che emana è quello di carne bruciata ed è solo un capello. Immaginate lì. Immaginate nel bel mezzo di una strage. Lì l’aria era ancora intrisa di odore di carne arrosto, come quando si fanno le grigliate all’aperto. Ma era carne umana. Erano i corpi di servitori dello Stato che la mafia aveva deciso di trucidare utilizzando un’arma invisibile e sconcertante: il tritolo.
Dovevo ancora compiere 21 anni ed ero in tv da meno di un anno. Nei mesi precedenti avevo provato “l’adrenalina a 1000” mentre raccontavo i diversi omicidi di mafia che la sanguinosa faida alcamese aveva messo a segno per le strade della provincia di Trapani. Il primo omicidio che raccontai mi sconvolse: avevano crivellato a colpi di mitraglietta un esponente della famiglia dei Milazzo ad Alcamo, appunto, uccidendolo mentre era seduto sulla sua Vespa, in una pubblica piazza della città, in pieno giorno. Anche in quel caso arrivammo poco dopo l’omicidio e quella vista, il corpo riverso sulla Vespa, grondante di sangue, mi sconvolse.
Ma quello era il “mio primo morto di mafia” che raccontavo alla gente del territorio dove continuo a vivere e a fare il giornalista, venti anni dopo.
Da gennaio a maggio fu un’escalation di delitti mafiosi. A quel primo cadavere ne seguirono altri e, bontà sua, il Direttore della tv continuò a mandarmi in giro per la provincia. “Per farmi le ossa”.
Ricordo che mi disse: “per capire che significa fare il giornalista in questa terra”. In effetti lo compresi appieno, settimana dopo settimana, morto dopo moro, agguato dopo agguato. Mi trovai a raccontare di miei coetanei “incaprettati”, di mafiosi uccisi in pieno giorno dentro i bar, di sparatorie e minacce anche nei miei confronti e nei confronti degli operatori tv che mi accompagnavano per raccogliere notizie ed immagini da mandare in onda durante i servizi. In due mesi diventai, praticamente, insensibile.
Riuscivo, ricordo ancora, a rimanere impassibile davanti i corpi crivellati e stesi per terra. I giornalisti più avvezzi a queste cose mi spiegarono che era subentrato il “cinismo del mestiere” e che quindi era normale non scandalizzarsi per i pezzetti di cervello sparsi per strada, gli stessi che invitavo il cameraman a riprendere con assoluta insensibilità.
Quando, a Marsala, uccisero in un bar uno dei tanti affiliati alla cosca marsalese, insieme all’operatore quasi ci mettemmo a camminare sopra il morto per fare delle “riprese ad effetto” (in quegli anni i giornalisti erano dentro l’area del delitto insieme alle forze dell’ordine, i morti li vedevamo, e li facevamo vedere senza distanze di sicurezza, senza transenne). Ero veramente diventato insensibile. Ma soprattutto non avevo ancora capito di cosa fosse capace Cosa Nostra.
“Fin quando si ammazzano fra di loro, pensavo, che facciano pure”.
Ero giovane, ero voglioso di dimostrare che ero bravo e se il cinismo poteva aiutarmi, lo diventai immediatamente. Ma il giorno della “resa” arriva per tutti. E per me arrivò quel pomeriggio del 23 maggio: il Direttore mi inviò a Capaci. Cambiai modo di vedere le cose.
All’insensibilità ed al cinismo subentrarono rabbia e sconforto unite alla voglia di rivalsa. Io, siciliano, nato e vissuto in una provincia mafiosa come quella di Trapani, avevo deciso a 13 anni di fare questo mestiere perché la mafia (che allora non capivo proprio cosa fosse) aveva ucciso una madre ed i suoi due figli, con un’autobomba piazzata sul ciglio della strada di Pizzolungo, una località balneare vicino Trapani.
Mi ritrovai, meno di dieci anni dopo, a raccontare le gesta barbare di Cosa Nostra ma continuavo a non capire la reale importanza di quello che rappresentavano tutti quegli omicidi avvenuti nel giro di sei mesi nella provincia trapanese.
Poi ci fu Capaci.
La gente di Sicilia aprì finalmente gli occhi e la coscienza e, al di là della cosiddetta “trattativa Mafia-Stato”, i siciliani iniziarono a reagire. Grazie a Giovanni Falcone, a sua moglie e agli agenti della scorta che vennero massacrati dal tritolo. Due mesi dopo uccisero anche Paolo Borsellino e la Sicilia si svegliò del tutto. Oggi la mafia non è più temuta come venti anni fa.
E’ presente, continua ad agire, si è mimetizzata e radicata ancora di più fra i “colletti bianchi”, ma la gente di Sicilia la combatte anche attraverso migliaia, ormai, di manifestazioni pubbliche dove viene urlato il disprezzo per Cosa Nostra e per quello che, purtroppo, ancora oggi non è stato debellato: l’atteggiamento mafioso dei prevaricatori.
La gente denuncia in piazza ma anche privatamente. La gente ha imparato che il silenzio uccide, che l'immobilità finisce con il primo passo verso la legalità.
 E’ così che Falcone e Borsellino hanno salvato la loro terra e la loro gente. Il loro sacrificio ha fatto cambiare pagina e rivoltato la storia.
Quell’odore di carne umana arrosto, per quanto mi riguarda, mi accompagna da venti anni e continua a farmi venire i brividi, anche adesso che ne sto scrivendo attraverso Notte Criminale.
Ma è un brivido bello quello che oggi mi pervade il corpo.
E’ il brivido della gratitudine e dell’amore che nutro nei confronti di coloro che, con coraggio indescrivibile, hanno saputo e voluto combattere la mafia anche per me. Morendo, come novelli Cristo, sulla croce, per la salvezza dei siciliani.
Nicola Baldarotta è direttore di canale 2 e corriere trapanese. Muove i primi passi mediatici in radio, da ragazzino. A venti anni inizia a lavorare in tv. Cronaca nera e giudiziaria sono le basi sulle quali si è formato.
Oggi è tra i giornalisti più in auge della provincia di Trapani dove ha deciso di rimanere "al servizio dei suoi conterranei" per raccontare le dinamiche politiche del territorio.

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