Gli aggettivi come ogni elemento della scrittura, possono essere molto pericolosi, oppure utilissimi. È importante capire che nella scrittura non funziona affatto l’accumulo, non si ottiene nulla con l’abbondanza. Chi invece si avvicina alla scrittura, spesso sembra ancora sotto il giogo del suo insegnante di Lettere che chiedeva quantità.
Occorre abbandonare la scuola e andare verso la vita: che spesso è brutta, sporca e cattiva. Ma per renderla al meglio è indispensabile imparare a usare bene le parole. Come diceva il buon Raymond Carver, esatto.
Secondo me, è necessario prima di tutto avere le idee chiare sul personaggio, oppure sull’ambiente che si sta affrontando. Se dovessi indicare una possibile strategia (non ne esiste una: esiste solo quella vincente che però funziona per chi la crea e la applica; gli altri altri devono inventarsene una) direi che è bene capire che se servono, servono per aggiungere.
C’è ancora qualcuno che legge, o siete scappati tutti?
Prendiamo a esempio un brano tratto dal romanzo di David Grossman “Qualcuno con cui correre”:
Le aveva parlato con tono sommesso, isterico.
Due aggettivi di seguito! Anatema!
Be’, no. Io sono abbastanza fondamentalista e quando ne vedo due, penso che con uno (diverso) si sarebbe potuto ottenere qualcosa di meglio. Però, occorre capire le scelte dell’autore, se si desidera imparare qualche cosa. Qui Grossman piazza due aggettivi che non appesantiscono affatto la narrazione. Permettono di spiegare al lettore questa conversazione. Del personaggio forniscono un quadro nitido. Parla, e usa un tono sommesso, isterico. Sì, si trova in pericolo. Non può parlare in maniera naturale perché sarebbe scoperto, ma il rischio che corre lo spinge a essere isterico.
Qui si comprende forse cosa significa sul serio “aggettivo”: aggiungere. Ma non nel senso che diamo di solito a questo termine. Si aggiunge solo per dare un quadro più completo al personaggio, o al momento che si descrive. Si forniscono al lettore gli elementi giusti per procedere all’interno della storia non a casaccio; o indovinando.
L’eccesso, come la penuria, mettono in difficoltà chi legge perché si trova all’improvviso a “faticare”, e questo ci può stare. Se vuoi rilassarti, in edicola c’è sempre “Cronaca Vera”, giusto?
Però la fatica generata dal numero eccessivo di aggettivi, come la loro scarsità, conduce il lettore in un vicolo cieco. In una storia che zoppica, sbanda, si perde e non riparte perché chi scrive non ha il talento necessario per condurla sino in fondo con criterio.
Come non mi stancherò mai di ripetere: occorre pensarci.
Non basta avere l’idea: ci sono milioni di idee nel mondo ogni giorno, e non conducono da nessuna parte. Personaggi, scene, ambienti, sviluppo, dialoghi possono essere “buttati giù”. Bene; quello riesce a tanti.
Pochi riescono a raggiungere il livello successivo perché non hanno nemmeno la capacità di pensare. Né possiedono l’umiltà di tacere per lasciare spazio al personaggio.
Peccato.