Capitan America – Il soldato d’Inverno [Recensione]

Creato il 29 marzo 2014 da Paopru

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Cosa c’è di peggio di un cinecomic dai toni esageratamente fumettistici? Uno che si prende troppo sul serio. Ovviamente se Chris Nolan fosse qui ora, accanto a me, mi darebbe come minimo un cartone in faccia, visto che é sua la colpa/merito di aver reinventato il genere in modo pesantemente serioso. Ma i fratelli Russo non sono i fratelli Nolan e Capitan America non è Batman. Si urlava al capolavoro già da qualche giorno, addirittura inneggiando a un lavoro migliore di quello operato sul primo Iron Man, un qualcosa che per chi non ha la memoria corta può risuonare quasi come una bestemmia.  Inoltre tutta questa meraviglia io non l’ho proprio vista.

Nella sala buia, a contatto con attempati nerd che commentavano la verosimiglianza col fumetto di ogni singola scena, ho alternato sbadigli a trentadue denti e sorsi di pepsi a ritmo controllato, manco fossi a un noioso seminario sulla contabilità generale.

Capitan America è un film strano, un tentativo da parte della Marvel di cambiare tono alle sue pellicole e sfondare il muro dell’ implausibile che tanto amavo in questo genere di film. Rendere il film un complicato thriller è stata una mossa azzardata da parte dei fratelli registi,  i quali spogliano i personaggi di quell’aura dal sapore fantastico per sprofondarli nella contemporaneità fatta di intrighi governativi e falsi colpi di scena, manco fosse un James Bond Movie.  Gli Avangers di Joss Whedon, pur nel suo maldestro tentativo di ricerca del plausibile, mantenevano un rimarcato tono fumettistico, alimentato spesso da battute e ironia. In Capitan America è tutto molto serio, cupo, della serie “non c’è proprio un cazzo da ridere“. L’eccesso di sotto trame legate alla storia distrae e non si riesce ad gestire quel giusto grado di empatia che permette il coinvolgimento emotivo verso la pellicola.

Troppa carne al fuoco insomma per riuscire a rendere tutte le storie credibili. La figura più penalizzata è paradossalmente quella di colui che da il nome al film, dunque il Soldato d’Inverno. Un mercenario che si limita a colpire duro senza girarci troppo intorno; quasi un Terminator, molto più di un Bruce Lee. Non così tanto presente come si vorrebbe, guerriero dallo stile di combattimento affascinante e stupendamente coreografato. Colpi secchi e veloci dal tremendo impatto sullo scudo di vibranio del Capitano arricchiscono le scene in cui compare il misterioso soldato, ma la mancanza di battute toglie enfasi alla sua apparizione sullo schermo, quasi fosse più un’entità malvagia eterea che un umano in carne e ossa/metallo.

Difficile poi decodificare  il suo gesto nei confronti di Cap nelle fasi finali della pellicola, in cui Rogers viene salvato da un quantomeno implausibile annegamento, in conseguenza dell’aver riconosciuto in lui un vecchio amico. Solitamente la credibilità di questi eventi (il recupero della memoria) è legata ad un trauma cranico improvviso o un qualsivoglia incidente che risvegli i ricordi repressi e non invece a un monologo sentimentale del tuo nemico su quanto si è stati uniti in gioventù (70 anni prima in verità). Toni fumettistici e sbrigativi nelle parti in cui bisognava approfondire e approccio serio nelle restanti, per un risultato che strania parecchio. Non del tutto sfruttato anche il personaggio di Falcon, presente solo nell’atto finale quasi come se si fosse voluto aumentare il livello di azione fine a se stessa per scongiurare il pericolo di un nuovo, scialbo e ripetitivo scontro finale tra Steve Rogers e il nemico di turno. L’attualizzazione dell’eroe interpretato da Anthony Meckie è però molto convincente, anzi lascia proprio senza parole e non era facile adattare sul grande schermo un omone nero che vola grazie a una tuta di spandex bianca e rossa dotata di ali. La tecnologia alla base dell’armatura di Falcon sembra quasi possibile e il metodo con cui le ali si dispiegano è un buon compromesso tra estetica e funzionalità. Nel film sembra si dia molto peso alla funzionalità dei gadget sfruttati dagli eroi e così anche lo scudo del Capitano diventa non più solo arma di difesa, ma di offesa in grado di fare grossi danni, soprattutto nei momenti più spettacolari in cui carambola da un punto all’altro dello schermo per poi ritornare al braccio dell’eroe (che nel mentre ha fatto decine di mosse di parkur).

Immancabili i riferimenti ad altre pellicole, soprattutto future. Mezzo cinema ha trattenuto il fiato quando è riecheggiato il nome di Stephen Strange. Il solo fatto di averlo citato è la prova regina che il film su Doctor Strange ci sarà. E non lasciano indifferenti neppure le scene finali che coinvolgono Scarlett Witch e Quicksilver, imprigionati in un castello che sembra quello stesso Forte di Bard in cui si stanno concentrando attualmente le riprese di Age of Ultron ad Aosta. Anche Stan Lee si presta come di consueto allo sguardo della macchina da presa diventando protagonista di una scena esilarante non di per se, ma per il semplice fatto che a dire quelle due battute è lui, con quella sua aria ironica da novantaduenne che non smette di avere una sorprendente forza giovanile.

Un film quindi complicato, forse spiazzante, di cui non ho ben afferrato tutti i meriti e che andrebbe rivisto per colmare alcune lacune che hanno inevitabilmente influito sul giudizio finale. Certamente la resa tecnica è impeccabile e il miglioramento nelle coreografie degli scontri corpo a corpo è un passo avanti ulteriore verso una maggiore attenzione del fattore spettacolarità che troverà il suo culmine nell’attesissimo ritorno degli Avengers previsto per il 2015.


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