Una bimba davanti ai miei occhi smania ardentemente per avere qualcosa: si agita, indica, nell’arco di qualche istante, una miriade di potenziali obiettivi di prossimo possesso, pare che qualsiasi cosa possa suscitare il suo interesse, ma nulla in particolare da indurla ad andare in fondo ai suoi vaghi desideri fino ad una concreta conquista.
La bimba è stanca, non ha ancora autonomia di movimento e si regge sulla fisicità motoria della mamma e del papà.
Mi chiedo se, in questa assenza di determinazione, i due genitori finiranno per sostituirsi a lei per necessità di azione e movimento, dirigendola verso qualcosa che non è esattamente il frutto di una scelta personale. Sebbene i genitori della bimba faranno di tutto per decidere in funzione del bene della medesima, chi è in grado di dire, in via assoluta, quale sia il bene per l’altro, fosse anche il proprio figlio quell’altro?
A ben guardare, la vita parte con un meccanismo che finisce per ripetersi in occasioni plurime, laddove una posizione non la si prende e, da ignavi o incapaci, ci si ancora a chi, nella nostra erronea, ma comoda convinzione, sarebbe nelle condizioni di decidere cosa sia meglio per noi.
Di maestri saggi e di guide illuminate è, spesso, costellata la nostra, a tratti, buia esistenza, ma quanti di essi possono dirsi tali, nel senso di indicatori di vie possibili, di evolute e rinnovate forme di un Diogene che si limita a fornirti gli strumenti per guardare, per vedere le origini, la strada percorsa, il suo senso e il suo volgere verso un futuro intimamente tuo, senza a te sostituirti?
Probabilmente, come sempre accade, la responsabilità non è mai interamente in capo ad uno soltanto dei due poli della relazione che si stabilisce.
Se, da un lato, esiste un presunto usurpatore delle identità altrui che, prefigurato nelle celestiali realtà immaginative del cercatore di se stesso, quale “unto del Signore”, diviene, per effetto di una metamorfosi involutiva, un infernale dirottare di mete paradisiache, è perché il cercatore è talmente fragile e perso da non avere le coordinate per riportare in salvo la nave che lo sta conducendo lungo un’esperienza dolorosa, ma necessaria.
Una guida autentica è un’altra storia, almeno così pare agli albori del meccanismo proiettivo che lega le nostre umane relazioni, perché la sua condizione nasce da un vissuto denso e ricco, da una maturità tale per cui raramente starà a dirti come agire, ma, più spesso, ti fornirà tutta l’attrezzatura per accedere all’ignoto con uno spirito di fiducia e intraprendenza e lo farà non perché da un pulpito si erge, ma perché quello che stai vivendo è già stato suo, lo conosce, seppure nelle personali e uniche forme che la vita di ciascun individuo veste.
La guida per eccellenza sa che ogni esistenza ha una sua unicità, ma, parallelamente, sostenuta dal sentire forte che la accompagna nel suo vivere quotidiano, rintraccia frammenti di sé nel vissuto altrui e prova a sostenere, laddove una funzione contenitiva è mancata, senza mai cessare di essere sé e non l’altro. Essa illumina, conduce allo stato di coscienza, spesso doloroso nella visione che ti offre, di uno spettacolo che, terrificante, ti disturba perché ne realizzi l’accaduto e l’appartenenza a te, ma per te non sceglie.
Il professore umano, idealista, umanista e ribelle alle convenzioni rigide di una società chiusa su se stessa, ne “L’attimo fuggente”, comprende il dramma del suo allievo più talentuoso, il conflitto interiore tra la realizzazione di se stesso e il volere di una famiglia incapace di ascoltarlo nelle sue intime esigenze, ma non può impedirne il suicidio, l’evidente rinuncia alla vita e alle sue complessità e contraddizioni che il giovane sceglie.
Eppure, nonostante la traumatica o confortante coscienza che nulla è davvero delegabile all’altrui persona, sia essa una guida autentica o meno, il punto più affascinante della questione rimane quello successivo: se è vero che, agli esordi, necessitiamo di guide, maestri, personaggi carismatici che ci aiutino a vedere, il senso ultimo del processo è riconoscerci quali guide di noi stessi, comprendere che il conferimento di autorità, nelle nostre vite, in capo a un individuo, piuttosto che in capo a un altro, è in qualche modo avvenuto per “corrispondenza di amorosi sensi”, perché qualcosa di nostro in lui abbiamo proiettato e saggiamente, a un certo punto, dovremmo anche ritirare per vivere la nostra vita con tutte le responsabilità del caso.
Certamente, può fare paura all’inizio, ma è l’unica strada per percorrere l’esistenza finalmente in prima persona.
Un libro di qualche anno fa, induceva a uccidere il Buddha che, per la strada, si fosse incontrato, distruggere, recitava il titolo, la speranza che qualcuno all’infuori di noi possa essere il nostro padrone.
Poiché ciascun individuo è un pellegrino, un viandante, il guru eletto tale a uno dei tanti bivi difficili, di cui una vita consta, non è altro che un pezzo di noi più maturo che stentiamo a riconoscere. Il “capitano coraggioso” che è in noi. Integrarlo significa crescere, significa andare “oltre”.