Capo Malfatano, uno straordinario porto antico da 400 navi dedicato a Melqart, l’Ercole dei cartaginesi.

Creato il 12 febbraio 2014 da Pierluigimontalbano
Capo Malfatano, uno straordinario porto antico da 400 navi dedicato a Melqart, l’Ercole dei cartaginesi.
di Sergio Frau


Teulada (Cagliari)
Persino per parlarne c'è bisogno di tutto il Mediterraneo. La grande rada si spalanca improvvisa nel granito della costa sud-occidentale, subito dopo uno sperone di roccia strapiombato a mare che gli arabi battezzarono Amal Fatah ovvero il luogo della Speranza. Oggi si chiama Capo Malfatano. La prima Africa, quella dei sassi belli di Cartagine, è lì davanti, proprio in faccia, a 100 miglia marine verso sud, dritto per dritto 24 ore di vela se il mare è quello giusto.
Il vento di qui è il grecale. Talvolta, però, pure lo suluk-scirocco vi si alterna al mistral-maestrale. Nei suoi fondali sabbiosi l'acqua sballotta una prateria di poseidonie che - solo si è davvero dell' umore giusto e in pace con il mondo intero - sembrano danzare per te. Basta una maschera, e saper nuotare anche così così, per vederle otto nove metri sotto di sé. A interrompere la spianata sommersa - tutta sabbia tranquilla, alghe e zig zag di pesci mezzi matti - c'è una colossale muraglia formata da pietre giganti. Te la trovi sotto la pancia a un metro e mezzo, due sotto il filo dell'acqua e, se non fosse per tutti quei ricci che la fanno a pois, nei punti più alti ci si potrebbe appoggiare con i piedi a prender fiato e sputare nella maschera per farla nitida. A seguire il muraglione si va avanti, nuotandoci sopra, per una novantina di metri fino alla riva. E - solo perché te l'hanno detto - ti accorgi che molti di quegli scogli sono squadrati, o sagomati a incastro, o ancora sovrapposti ad arte uno sull' altro. Molti di quelli degli strati più alti devono essere stati sbattuti giù da onde e millenni; gli altri sono ancora al loro posto, compatti l'un l'altro. Dalla sponda opposta, simmetrica, un'altra muraglia giganteggia dal fondale per 110 metri finquando non si blocca per lasciare un varco di 240 metri di acqua alta libera, e solo sabbia sotto: l'accesso alla spiaggia della rada che è due chilometri e mezzo più in là.
"Potrebbe essere il Porto di Melqart, l'Ercole dei Cartaginesi. E' comunque la più grande struttura portuale antica che il Mediterraneo ci abbia mai restituito finora. Anche le antiche carte di Tolomeo parlano di un Portus Erculi proprio da queste parti e certo non è una coincidenza", spiega Paolo Bernardini, archeologo della Soprintendenza che, appassionato specialista dell'avventura fenicio-punica in Sardegna, la zona se l'è studiata per bene. E prosegue: "Dentro c'entravano, ormeggiate, anche 400 grandi navi. Poteva essere proprio questa la base d' oltremare per la flotta militare cartaginese che da qui - e da Utica e Cartagine, proprio di fronte, sulla costa tunisina - bloccò a tenaglia il traffico con il Mediterraneo occidentale fino all' ultima guerra punica, quella del 146 avanti Cristo con cui i Romani sfondarono fino a Gibilterra".

Nicola Porcu, da anni ispettore onorario della stessa soprintendenza per i suoi meriti di ricercatore subacqueo, che questo colossale porto ha scoperto, aggiunge: "Chi arrivava qui era finalmente al sicuro e, certo, faceva sacrifici proprio a Melqart, il dio che proteggeva i viaggi per mare. Ce n'era bisogno, era un mare davvero cattivo quello di allora: nei fondali qui intorno anfore e ancore e cocci raccontano ancora oggi di antichi naufragi". E Bernardini: "Basta osservare tutti i nuraghes che circondano la rada, per rendersi conto che il porto può esserci stato fin dall'età nuragica. Le ultime tracce, però, sono romane e medievali. Due calette più in là, verso Teulada, si vedono ancora le cave da cui i massi per costruirlo furono presi". Nella rada deve esserci ancora l'ira di dio di roba: strade, mura che affiorano, i magazzini del rimessaggio, forse un tempio, forse la conferma dell' origine punica del porto... Bernardini: "E' una zona - questa compresa tra Tharros e Nora, le due capitali sarde della civiltà fenicio punica - che, piena di vita com' era, già ci ha permesso di riscrivere la storia e le datazioni di quel capitolo della Sardegna. Grazie ad alcune case ritrovate dieci anni fa a Sulci ora sappiamo di dover fare arrivare i primi Fenici (termine che, all' inizio, significa genericamente quelli dalla pelle rossa) nell' ottavo secolo avanti Cristo e non più nel sesto o settimo come si credeva prima. E, sempre con i ritrovamenti, ci siamo resi conto di quanto andassero d' accordo quei primi mercanti avventurieri e danarosi con le popolazioni locali, tutte contente di vendere a buon prezzo rifornimenti e merci. Con i punici no! Cambia davvero tutto: defenestrate le élites locali, deportate popolazioni intere, sostituite da genti del Nord Africa; e poi stragi, tasse e mano pesante; e spie, e sorveglianza...". Fu allora, forse, che qualcuno se ne uscì con quel "Bucca tupada, bucca indorada: bocca tappata, bocca dorata" che ancora gira come proverbio.
Talvolta, però, si esagera: la Sardegna, ancor oggi, non ha ufficio stampa. O se ce l' ha non funziona. Così può capitare - è capitato - che si rintracci sott'acqua non solo questo porto ritenuto da tutti il più importante mai ritrovato finora, ma anche - adagiate sotto la schifosa fanghiglia nerastra (ma sacrosanta visto che ha protetto tutto a perfezione) di Santa Gilla, uno stagno distante una quarantina di chilometri dall' antico porto, proprio di fianco a Cagliari - centinaia e centinaia di anfore ancora piene di roba da mangiare (di tutto un po' , ma mai maiale) pronta per essere stivata, e maschere di terracotta e manufatti e tegole decorate - una specie di Pompei del commercio punico-mediterraneo, insomma - e nessuno "in continente" ne sappia nulla e quindi ne parli adeguatamente. A questo punto sarebbe bello poter annunciare anche che - sempre a causa della mancanza di un ufficio stampa adeguato - in giro non si è saputo neppure che nelle due zone del Porto grande e dello Stagno di Santa Gilla sta ora partendo una poderosa campagna di archeologia subacquea, e che la Sardegna ha chiesto aiuto - e soldi buoni - all'Europa che glieli ha dati per cercare lì dentro la nostra storia comune. E che sarà un colossale cantiere archeologico, aiutato dalle università e visitabile da tutti in una zona bellissima e miracolasamente ancora intatta (i Monzino, ex Rinascente, padroni di tutto da quelle parti, non hanno mai distrutto nulla). E che il cantiere darà lavoro a centinaia di giovani ricercatori. E che - come succede in Egitto - si faciliteranno gli scavi anche a équipe archeologiche straniere. E che la roba - man mano che verrà trovata, verrà sì restaurata ma subito dopo esposta in zona con piccoli e grandi nuovi musei adeguati. E che per tutta la costa tra Cagliari e Oristano - quella con dentro il Sulcis bastonato a morte dalla disoccupazione delle miniere chiuse - sarà una nuova età dell'oro dato che chiunque si interessi di archeologia - una volta visti gli splendori di Tharros e Nora, le due Cartagini di qui - dovrà per forza visitare il colossale porto che racconta l' apogeo della vita di mare di qui e, forse, l' inizio della fine per la civiltà nuragica. E che persino il vecchio Progettone della carta del mare e dei tesori che qui nasconde è, finalmente, diventato realtà. E che...
Purtroppo, però, stavolta non è questione di ufficio stampa... Non solo per indagare sul passato archeologico - nuragico, fenicio, punico, romano, bizantino - dell'isola ci sono sì e no 700 milioni di lire (non di Euro) l' anno in tutto (il costo di una puntata particolarmente economica di un qualsiasi Fantastico; o di un paio di chilometri di autostrada; 250 volte meno di quel che si è speso finora per un faraonico porto-canale nato morto proprio nella zona dello stagno), ma tutto il territorio di Cagliari nasconde a perfezione i suoi antichi trofei. Da quando fu scoperto, tre anni fa, al Porto grande nessuno ha più indagato. Ferme anche le ricerche a Santa Gilla. Persino i materiali trovati lì sono sepolti in magazzini inaccessibili. Niente di strano: dei tesori che terra e mare di Sardegna restituiscono da anni, un centesimo appena è quello esposto da quando, sette anni fa, è stato chiuso il vecchio Regio Museo, uno strampalato, mirabolante bazaar di meraviglie nuragiche e mediterranee che nella sua confusione aveva, però, un gran fascino. Ora poche vetrinette - ordinatine, ma come di una farmacia - annunciano da anni che il nuovo museo, prima o poi, sarà completo. Fatto sta che della Sardegna si capisce di più vedendo la piccola, preziosa mostra I Fenici in Sardegna, in questi giorni ai Musei Civici di Milano, che sbattendosi in giro per i musei del Cagliaritano. Ma se ricerca e valorizzazione delle antichità sarde vanno a rilento, in compenso - proprio nelle zone archeologiche - c'è un superattivismo immobiliare - benedetto da tutti Regione, Soprintendenza e Legambiente comprese - che rischia di seppellire sotto il cemento armato interi capitoli della nostra storia. Già a Santa Gilla non solo il porto-canale e le sue ruspe fanno disastri facendo spostare gli stessi fenicotteri che hanno fatto ricca la Camargue, ma un centro commerciale s'è mangiato con le sue fondamenta le strutture del porto romano di Scipione.
Ora, poi, anche Tuvixeddu, una delle più maestose necropoli puniche esistenti nel Mediterraneo arroccata su in alto, nel centro di Cagliari, rischia una di quelle valorizzazioni che solo gli immobiliaristi di qualità sanno prospettare a un Comune: un bel complesso di palazzoni vista-tombe tutt'intorno, alla faccia della scaramanzia, e dei vincoli, e del fatto che l'intera zona è stata definita dall'Unesco patrimonio dell'umanità.
Fonte: La Repubblica del 6 Agosto 1999

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