"Pietro è un ragazzo introverso e timido. Un mattina, la madre gli prepara un cesto da portare alla nonna malata, raccomandandosi di seguire il sentiero, non fermarsi a parlare con nessuno e tornare prima di sera. Durante il cammino però, Pietro incontra una ragazza affascinante che indossa una mantellina rossa con un cappuccio…"
Tratto da un racconto breve di Gordiano Lupi (autore a sua volta di eccellenti testi sulle note starlette e sui maggiori registi del cinema di genere Italiano), il mediometraggio segna, dopo gli interessanti Contratto per Vendetta e Kenneth, l’approdo si Simone ad una poetica finalmente ben definita, incentrata su un’approfondita cura nella selezione delle location ed attenta ad un montaggio in empatia col racconto: né estetica da videoclip cara a (troppo) cinema Francese contemporaneo né inutili prolissità autoriali.
Un equilibrio registico davvero raro nelle giovani leve della settima arte, spesso distratti dalla forma e svogliati nella sostanza. Uno stile nel quale sembra davvero riconoscere, con i dovuti distinguo, il gusto meditativo ed analitico del Fulci più conosciuto (Paura nella città dei morti viventi, L’aldilà) e del Massaccesi più sfrontato (Antropophagus, peraltro esplicitamente omaggiato nella magnifica sequenza finale).
Buona la direzione degli attori ed azzeccata la scelta dei protagonisti Luca Peracino (Pietro) e Soraia Di Fazio, nelle sensuali vesti di una cappuccetto rosso dalla bellezza acerba e provocante. Menzione di merito alla colonna sonora composta di Luca Auriemma: eccellente, ispirata ed in sostanza necessaria "cornice" alla visionarietà di una fiaba dai toni deliberatamente dark.
Che l’attesa rinascita del cinema horror nostrano, erede dei grandi artigiani degli anni ’70, passi proprio per Torino?