Nella cittadina californiana di Lancaster, affacciata al deserto del Mojave, sede della base di Edwards della US Air Force, Don Van Vliet e Frank Zappa erano i due adolescenti "strani", e perciò amici per la pelle. Ben poco popolari a scuola, più che i successi da ballo del rock'n'roll degli anni cinquanta, i due, chiusi nella camera di Van Vliet, facevano girare sul piatto i dischi del blues del Delta di Robert Johnson, del blues di Chicago di Howlin Wolf o del jazz di Ornette Coleman e di Theolonius Monk. È a casa sua che la leggenda vuole che nacque il nomignolo Captain Beefheart, capitan cuore di bue, dalle abitudini esibizioniste dello zio Alan, che pare avesse l'abitudine di non chiudere la porta del bagno quando urinava, specie in presenza della fidanzata di Don, Laurie, per esibire un membro grosso come un "cuore di bue".
Dopo le prime esperienze musicali in comune (una teenage operetta e qualche demo), Zappa seguì la sua strada a Los Angeles con le Mothers, mentre Van Vliet metteva assieme un gruppo R&B battezzato Magic Band, in cui assunse il nome di Captain Beefheart. Nel 1969 fu Frank Zappa a produrre il terzo album della magic Band, Trout Mask Replica, per la sua etichetta Straight. Per lo scorno del capitano, per risparmiare sulle spese dello studio di registrazione, Zappa avrebbe voluto registrare l'album direttamente nel bilocale a Woodlands Hills, nella suburbia di Los Angeles, dove Beefheart viveva con tutti i membri del gruppo. Il successo mancava, e con esso persino i soldi per mangiare. Trout Mask Replica, addirittura un disco doppio, abbandonava ogni eco di blues per infilarsi nella totale follia della avantgarde, cosa che gli sottrasse ogni velleità di entrare nella classifica americana (come tutti i dischi di Beefheart), ma divenne un disco di culto, che avrebbe successivamente influenzato la svolta "strana" del Tom Waits di Swordfishtrombones.
Mentre era ignorato in patria, Beefheart era ascoltato in Inghilterra, dove un suo disco, Lick My Decals Off, Baby, ebbe come spontaneo testimonial niente meno che Sir John Lennon.
Fu così che nel 1974 la neonata londinese Virgin Records decise di dare all'artista una possibilità stampando il suo Unconditionally Guaranteed (registrato comunque ad Hollywood). Il destino si diverte: il disco quasi inglese fu il primo a non entrare neppure nelle classifiche inglesi, e a causa della sua normalità ricevette solo tiepide recensioni. Fino a quel momento l'unico che aveva guadagnato qualche cosa dai dischi della Magic Band era Beefheart, che come autore delle canzoni percepiva almeno i diritti d'autore. Stremato, il gruppo decise di abbandonare il dispotico leader, alla vigilia del tour del disco, per tentare una sterile avventura solista con il gruppo dei Mallard.
Beefheart ed il manager avevano a disposizione solo cinque giorni per trovare dei sostituti disposti a partire in tour senza provare. A dispetto di ogni possibile previsione, il bisogno creò un'ottima band.
Al momento non uscì nessun disco del tour, perché la Virgin preferì puntare su un secondo album in studio, Bluejeans & Moonbeams, accolto persino peggio del precedente, tanto che Beefheart lasciò l'etichetta per cercare di aiuto alla corte di Zappa.
La prima stampa di quel Live In London '74 avvenne solo su CD ben trentadue anni dopo, nel 2006.
Ciò nonostante io fui esposto da subito al suo suono, attraverso la stampa di due brani in un mitico sampler della Virgin intitolato semplicemente V, nella stessa facciata che conteneva due brani registrati dal vivo ad Hyde Park di un altro folle poeta, questo inglese - Kevin Coyne - un altro cantante R&B bianco singolarmente vicino per genere a Van Vliet, e probabilmente da lui influenzato. Uno dei due brani era la leggendaria Majory Razorblade Suite.
Allora il suono di quella facciata di vinile mi parve bellissimo, irresistibile nella sua sguaiatezza e nuda forza. E lo confermo ascoltando il concerto contenuto nel disco completo.
Beefheart ha una voce gutturale ispirata al bluesman Howlin Wolf, e la band era assolutamente potente e sgangherata, aiutata nella sua naturalezza dal fatto di aver provato poco brani che non conosceva affatto, cosa che li spinge a suonarli con la spontaneità di un jazz ensemble. I brani sono per lo più quelli del disco in studio, il che testimonia come le canzoni fossero in realtà di buona stoffa: R&B, blues, persino hot jazz, a testimonianza del fatto che il sassofonista Del Simmons aveva suonato per Glenn Miller, e la ballata di This Is The Day.
Scoraggiato dall'insuccesso e nei guai per aver firmato contratti con più di una etichetta discografica (Buddah, Straight, Reprise, Virgin) contemporaneamente, il capitano tornò nella braccia dell'amico Zappa, incurante del fatto di avere avuto in precedenza per lui parole di fuoco. Insieme partirono per il tour che è registrato nel disco Bongo Fury del '75, in cui i due leader finirono per non rivolgersi neanche la parola, stremati dalle differenze incolmabili: meticoloso e pignolo Zappa, sbrigativo e perennemente in ritardo Beefheart, che sul palco finiva per dimenticarsi persino le parole delle canzoni.
Assieme all'inedito Hyde Park di Kevin Coyne (che si può ascoltare solo sul quarto disco dell'antologia I Want My Crown), per i miei gusti Live In London '74 potrebbe essere il più grande album di R&B bianco in circolazione.