Cara adorata luisetta

Creato il 20 maggio 2010 da Renzomazzetti

Le cose che vorrei dirti sono tante che non so da dove cominciare; nella mia testa vi è una ridda di pensieri, che potrei esprimermi bene solo a voce pur essendo calmo; cercherò di coordinare, per esprimerti esattamente tutto ciò che penso e il mio vero stato d’animo in questo momento. Sono calmo, estremamente calmo; non avrei creduto che si potesse guardare la morte con tanta calma; non indifferenza, ché anzi mi dispiace molto di morire; ma, ripeto, sono tranquillo e calmo per una semplice ragione che tu comprendi; sono tranquillo perché ho la coscienza pulita; ciò è piuttosto banale, perché ha la coscienza pulita anche colui che non ha fatto del male; ma io non solo non ho fatto del male, ma durante la mia breve vita ho coscienza di aver fatto del bene, fatto del bene non solo nella forma ristretta di aiutare il prossimo ma dando tutto me stesso, tutte le mie forze benché modeste, lottando senza tregua per la Grande e Santa Causa della Liberazione dell’Umanità oppressa. Tra poche ore certamente io non sarò più, ma sta pur certa che sarò calmo e tranquillo di fronte al plotone di esecuzione come lo sono attualmente, come lo fui durante quei due giorni di simulacro processo, come lo fui alla lettura della sentenza perché sapevo già dall’inizio di questo simulacro processo che la conclusione sarebbe stata la condanna a morte. Sono così tranquilli quelli che ci hanno condannato? Certamente no! Essi credono con le nostre condanne di arrestare il corso della storia; si sbagliano! Nulla arresterà il trionfo del nostro ideale; essi pensano forse di arrestare la schiara di innumerevoli combattenti della libertà, col terrore? S sbagliano. Ma non credo che essi si facciano queste illusioni; essi sanno certamente di non poter arrestare il corso normale degli avvenimenti, ma agiscono con il terrore per prolungare il più possibile il momento della resa dei conti. Ad ogni modo siamo una famiglia predestinata a dare tutto per la causa; io oggi, come prima Vitale sul campo di battaglia. E’ venuto in questo momento il sacerdote col quale ho discusso a lungo: è afflitto perché non ho voluto confessarmi; poiché non sono un credente, sarebbe stata da parte mia una incoerenza il confessarmi; ma mi pare tanto un brav’uomo che gli ho chiesto di venire a trovarti perché ti confermasse a voce come veramente mi ha visto, tranquillo. Forse ti appaio un po’ egoista quando ti parlo della mia calma, della mia serenità, del mio ideale per il quale sto per dare la vita; ma tu lo sai che ciò non è; tu sai, mia adorata Luisa, che nel mio ideale si confonde l’amore per te e Gisella, con l’amore per l’umanità intera e se, come ti ho detto, mi dispiace morire, è perché non potrò più godere del vostro affetto e perché mi addoloro del vostro dolore. In questo momento rivedo, come se li vivessi, i ventun anni del nostro grande amore, amore che si è confuso e rinnovato nei nostri figli; non vedo una differenza e una mancanza di continuità fra il nostro ardente amore giovanile ed il calmo amore della nostra maturità che si esprime col la passione che tutti e due abbiamo riversato sulla nostra Gisella. Rivedo e rivivo questi ventun anni e mi sento tranquillo perché sono convinto di essere sempre stato un cuore amante, uno sposo ed un padre perfetto se si può parlare della perfezione. Avrei voluto vedervi anche un solo istante, stringervi nelle mie braccia, perché poteste attingere coraggio dalla mia perfetta tranquillità. Non mi fu possibile; ma sono certo che tu saprai evitare che questa sciagura possa troppo scuotere la nostra Gisella che è tanto suscettibile e sensibile, infondendo a lei il tuo coraggio… Sii forte per te e per Gisella, sono certo che lo sarai, come sono certo che vedrete il mondo migliore per il quale ho dato tutta la mia modesta vita e sono contento di averla data. Coraggio, vi amo quanto può amare uno sposo ed un padre. Vi stringo in un abbraccio ininterrotto per tutte le ore che mi restano a vivere.

EUSEBIO, Partigiano, Torino, carcere giudiziario, 3 aprile 1944, ore 22.

TRITTICO GIOTTESCO

I

si appoggia, ardendo, in tranquillo decollo, il caldo carro, sopra il tratto sinistro del tetto,

con le sue ruote a dodici raggi, con i suoi veri orologi solari: (la biga

è arcaica, carica di fregi): (è un Elio nuovo, quello: è un nuovo Elia): in questa aurora

di mezzanotte, circa, monocroma, i due cavalli calpestano il vuoto, tra rame e bronzo,

rampanti robusti, rapinosamente inerti, erti nel cielo:

sta lì bloccato quel mobile pergamo;

2

tre sono consapevoli:

corpulenti, sono segnati da un gesto: (l’orante, per esempio,

chi ci volta le spalle, di tre quarti, imita quasi, forse, l’atteggiamento dell’asceta

che ascende): (è a colloquio con quello che qui lo addita, levando il braccio inquieto,

su dalla molle manica):

(ma il terzo, poi, rivolto ai giacenti semiammucchiati stretti,

semidanzante, l’unico scosso veramente, pare, vuole coinvolgerci tutti, allarmato):

3

io sono l’uomo che dorme disteso: (la mia mano è distesa sopra un cubo, la mia testa

sta sopra la mia mano): (sono il più inerte, il più opaco, il più occulto): (sono sepolto,

è probabile, è certo, in un mio incubo lungo): sprofondato nel fondo del mio elegante

tugurio (vedi la gialla altana, la terrazza coperta, e le inferriate a tutte le finestre),

mi sveglieranno, tra poco, per forza:

non compatirmi né invidiarmi, tu, tuttavia: (balordo

sbalordito, con i miei occhi, quando li aprirò, sarò il solo a guardarti, se mi guardi):

-Edoardo Sanguineti , dalle poesie sparse-

Il ricordo è il solo paradiso dal quale non possiamo venir scacciati. -Jean Paul-


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