La città sacra di Caral rappresenta la civiltà più antica d’America e l’origine della cultura andina, avendo una storia di più di 5.000 anni. Si è sviluppata in concomitanza con il sorgere delle civiltà antiche della Mesopotamia, dell’Egitto, della Cina e dell’India.
Eccezionalmente ben conservato, il sito è famoso per la sua estensione di ben 66 ettari e per la complessità della sua architettura, oltre che per la sua imponenza. In particolare si osservano una pietra monumentale ed ben 18 insediamenti urbani. Il ritrovamento nella zona di un “quipu”, ovvero un insieme di corde annodate che servivano per calcoli matematici, testimonia lo sviluppo della civiltà di Caral che è ancora fonte di studi.
Si stima che sia stata abitata tra il 3.000 e il 2.000 a.C. dalla civiltà Norte Chico, un insieme di popoli precolombiani che comprendeva ben 30 centri urbani posizionati in quella che oggi è conosciuta come l’omonima regione del Perù centro-settentrionale. La città ospitava circa 3.000 persone, e altre 20.000 abitavano i centri circostanti.
Il fulcro del complesso è costituito da un enorme spazio pubblico centrale con 6 tumuli piramidali di grandi dimensioni disposti attorno. Il più grande dei tumuli è alto 60 metri e misura 450 x 500 metri alla base. La struttura suggerisce un elevato livello di pianificazione di quella che già a quei tempi doveva essere una cultura organizzata.
Questa metodologia ha permesso agli abitanti di Caral di costruire piramidi alte fino a 70 metri. E questo rappresenta il primo enigma. Come ha fatto la comunità di Caral, in un periodo tanto primitivo, a sviluppare una tecnologia così avanzata?
In un incavo dei tempio principale sono stati ritrovati 32 flauti realizzati con ossa di ali di pellicano. Inoltre, nel 2002 sono state trovate 37 cornette realizzate con ossa di cervo e di lama. Chiaramente, la musica ha giocato un ruolo importante in questa società.
E qui viene spontanea la seconda domanda: che cosa è successo agli abitanti di Caral? Se la loro civiltà non è stata cancellata da una guerra, allora che fine hanno fatto? Chi c’è stato ha testimoniato che quando si cammina tra le antiche rovine ci si immerge in un atmosfera magica, impregnata di spiritualità e mistero.
Altro enigma di Caral è il fatto che furono trovate delle statuine d’argilla non cotta. Come fu possibile che una civiltà gerarchica, capace di costruire imponenti strutture piramidali, il cui sistema sociale era differenziato e che dominava un territorio di circa 87.000 chilometri quadrati, non abbia conosciuto la ceramica?
Il fatto che la cultura di Valdivia, città dell’odierno Ecuador, abbia realizzato meravigliose creazioni fin dal 4000 a.C. ci impone a chiederci perché questo tipo di tecnologia non si sia sviluppato anche a Caral.
Si spera che con le prossime ricerche sul campo, condotte con sofisticati metodi tecnologici, si possa trovare il cimitero, che fornirebbe importanti informazioni sulla vita di questo popolo. A Caral non si utilizzava il bronzo e neppure il rame o l’oro. Era una società agreste, basata sul baratto, ma che disconosceva l’uso dei metalli e della ceramica.
Ci si concentrava nell’affinare altre conoscenze, come per esempio l’uso delle piante medicinali e dei tessuti. A tale proposito va detto che il telaio non era conosciuto e per la creazione di tessuti si utilizzavano rudimentali tecniche d’intreccio. L’influenza della cultura di Caral nella valle di Supe durò fino al 1800 a.C., quando, per cause ancora ignote, andò lentamente declinando e i suoi abitanti emigrarono verso altre terre, probabilmente più fertili e umide.
Questa in sintesi è la storia di uno dei più antichi insediamenti urbani, che ha fatto parlare di sé a causa delle sue troppe incongruenze. Sarebbe davvero interessante potere un giorno dare una risposta alle molteplici domande che, nel corso dei secoli, si sono fatte strada nell’immaginario collettivo.
Written by Cristina Biolcati