Cardiofitness – Il benessere del cuore

Creato il 13 novembre 2013 da Loredana Gasparri
Un titolo rilassante, dopo la #svoltahorror. Alessandra Montrucchio e il suo Cardiofitness, un raggio di sole riposante dopo atmosfere disturbanti e disturbate, piene di rabbia, tradimenti, squallore, orrori indicibili. Saprete di più sulle mie ultime letture, in apposita sede. Conoscevo da parecchio Alessandra Montrucchio, grazie alla sua rubrica su Torino Sette, inserto del venerdì de La Stampa, CattiveRagazze, che seguivo sempre quando acquistavo il giornale cartaceo. Con la presenza sempre più prevaricante di Internet nelle nostre vite offline, e con altre questioni più pressanti, ho finito per dimenticare quel momento di contemplazione, in cui mi immergevo nelle vicende tragicomiche delle tre amiche, la Bionda, la Rossa e la Bruna, alle prese con lavoro, uomini, parità, rapporti sociali. Quello che mi attraeva maggiormente era leggere del rapporto che l’autrice aveva con Torino, la stessa città in cui vivevo io. Le vie del centro, i negozi, i locali, le persone che potevamo aver visto o avere “in comune” (anche per semplice presenza) acquistavano un’altra luce e un altro significato, nelle sue parole. Mi faceva venire voglia di tornare in centro e dare un’occhiata a quel pub in cui la Bionda (o una delle altre amiche) ne aveva combinata una delle sue, a captare un segno, una presenza, un soffio di qualcosa di indefinito. Lo stesso desiderio che si è intrecciato alla voglia di leggere il suo pensiero in uno scritto più ampio di una rubrica, e alla curiosità stuzzicata pesantemente dalla sinossi letta in copertina: Stefania, ventiseienne laureata torinese, sulla soglia di un mondo lavorativo che non sa ancora se respingerla o meno, si innamora di Stefano, liceale quindicenne, a disagio con se stesso e i suoi coetanei troppo semplici, omologati, televisivi, sullo sfondo di una palestra piuttosto conosciuta. Ehm. Cosa? Una versione di Humbert al femminile?! Cos’è, una prova, un test su chi scardina il numero più alto di pregiudizi e taboo? Messi da parte questi risibili commenti pregiudiziali, mi sono disposta a leggere con grandissima curiosità. E ho trovato una storia completa. Divertente, surreale, comica, seria, problematica, fantasiosa, verosimile, poco credibile (e per questo contraddittoria), viva, irritante. Come sono spesso le vicende in cui incappiamo tutti i giorni, tra uno schermo di pc, la spesa, il parcheggio mancato, le corse per arrivare in tutti i posti. Il teatro del libro è soprattutto la palestra, dove Stefania e il suo gruppo compatto e corazzato di tre amiche, al punto da essere note come Charlie’s Angels, vanno a sfogare stress, delusioni e frustrazioni, insieme ad una schiera di personaggi molto reali, tirati di peso dai posti che frequentiamo anche noi. A parte Stefano e le sue amiche, i frequentatori della palestra, i genitori del ragazzo, sono etichettati tramite soprannomi molto coloriti e particolarmente evocativi del carattere della persona, che si trasformano in veri e propri nomi in codice. Ridiamo del Bestio, statuario insegnante di aerobica californiano, caratterizzato da glutei marmorei e ipnotici per le allieve, e da scarsi interessi intellettuali. Ci irritiamo un po’ con Scopa, bionda segretaria dalla capigliatura di saggina, pronta ai pettegolezzi, costantemente assediata da Sing Sing, il proprietario della palestra, sempre attento alle spese e alle condizioni del suo conto corrente, LSD, altro insegnante di aerobica, dalle prestazioni e dal carattere altamente instabili, il Mitile, il padre di Stefano, e una schiera di frequentatrici dai nomi molto spicci: Fyga, dotata di una sicurezza forse eccessiva della propria bellezza, Stucco, applicatrice di quantità esagerate di fondotinta, Acido&Muriatico, due gemelle forse un po’ troppo...precisine. Sono il coro che commenta e spettegola sulla storia d’amore più improbabile del secolo, dopo Lolita: una ragazza ventiseienne che s’innamora, poi ricambiata, di un quindicenne introverso, in attesa di esplodere alla vita. E’ Stefania che parte all’attacco, tra una lezione di aerobica e l’altra, e “rimorchia” l’attonito Stefano, che non si capacita perché quella ragazza così bella e così “grande” gli parli e gli sorrida. Forte della sua età, la giovane dichiara subito il proprio interesse, senza troppi giri di parole:
“’Sì. Tu mi incanti, sul serio. La prima volta che ti ho visto...be’, prima ho notato i capelli, li hai splendidi...e poi hai una nuca che...’ ‘La nuca? Qua dietro, vuoi dire?’ ‘Sì...la curva che hai fra il collo e le spalle è meravigliosa.’ ‘Mì, ma a me nessuno mi ha mai detto delle cose così belle.’ ‘Ti dà fastidio?’ ‘Be’...mi sento un po’ in imbarazzo. E’ che a me non è mai capitata una storia del genere.’ ‘Neanche a me, a dire il vero.’ ‘Io non ci posso credere. Ma sul serio tu...’ ‘Guarda che è praticamente un mese che ti giro intorno.’ ‘Un mese??’ ‘Sissignore. Perché credi che abbia cominciato a far pesi?’ ‘No! Ma davvero?’ ‘Davvero.’ ‘Ma...perché io non me ne sono mai accorto?’ ‘Be’, non è che ho fatto di tutto per fartelo capire. E poi io non sono una che si nota nella folla, anzi.’ ‘Non è vero. Tu sei carina.’ ‘Lo pensi davvero?’ ‘Sì.’ ‘’ (Alessandra Montrucchio, Cardiofitness, Farfalle Marsilio, pagg. 46-47)
E’ un dialogo che ha qualcosa di familiare: anche a noi è capitato di aver attirato l’attenzione di qualcuno, magari più grande o semplicemente più insolito delle persone cui siamo abituati. E’ un dialogo semplice, senza dichiarazioni o movimenti particolari, ma avvertiamo la differenza di tono e ci caliamo senza difficoltà negli stati d’animo dei due interlocutori. Da questo momento, la vicenda si snoda serrata, tra fughe, incomprensioni, tentativi di entrambi di dimenticare l’altro, sottolineature scandalizzate del “coro” di amici, parenti e “palestrari” quando la storia emerge in superficie. Al centro, però, ci sono Stefano e Stefania. Scossi dai loro stessi sentimenti, dalla riprovazione sociale mista a invidia degli altri, dalle battutine velenose, e dall’impegno nel fare “la cosa giusta”. Sì, ma cos’è la cosa giusta? Prenderla come una storia di “iniziazione”, per cui il giovane Stefano viene introdotto ai misteri del sesso da una conturbante “nave scuola” (è l’opinione sospirata e invidiosa dei suoi compagni di scuola), oppure uno sfizio trasgressivo insolito e passeggero, per cui l’adulta Stefania, delusa dall’amore dei suoi coetanei, si rifà con l’adorazione e l’ingenuità di un giovanetto indifeso? Entrambi opzioni banali da romanzo pennivendolo all’ottocentesca. Una versione al maschile di Sedottae abbandonata, film tragicomico e dolceamaro del 1964, su un certo lato della nostra società italiana? No, niente di tutto questo. Alessandra Montrucchio riesce a raccontare con uno stile umoristico e molto originale una storia a suo modo insolita, mantenendo un bell’equilibrio che non le permette di scadere nella fiaba zuccherosa, o nella tragedia squallida. La realtà non è mai troppo brutta, e i sogni non sono mai troppo in aria con i castelli. Un sottile soffio di speranza si fa sentire, una volta chiuso il libro: allora, si può realizzare il sogno, nonostante tutto?

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