Cari politici, se aveste letto le opere di Autodafé, i forconi non sarebbero una sorpresa

Creato il 13 dicembre 2013 da Autodafe

di Cristiano Abbadessa

Non ho capito molto delle proteste di piazza di questi giorni, dei forconi, dei movimenti spontanei e di quanti si sono accodati. Vittima dei miei schematismi, fatico a inquadrarli; e, soprattutto, fatico a cogliere se, oltre alla protesta, esiste un collante di rivendicazioni comuni e compatibili.
Non ne ho capito molto, ma posso dire con serenità che una sollevazione di queso tipo me l’aspettavo. Anzi, mi domandavo come mai non fosse ancora avvenuta. E, per quanto confusi negli intenti, i moti di piazza mi paiono chiarissimi nell’essenza, attesi e inevitabili.
Non possiedo la sfera di cristallo, e non sono un politologo o un sociologo. Però mi so guardare intorno e, soprattutto, per mestiere ho letto, negli ultimi anni, quel che i nostri autori (o gli aspiranti autori) hanno scritto della realtà sociale dell’Italia contemporanea.
Per questo mi fanno sorridere, e infuriare, i politici attoniti e spiazzati che cercano di esorcizzare (e quindi, prima ancora, di demonizzare) un fenomeno che li ha colti alla sprovvista, di cui nulla mostrano di capire e del quale non sembrano riuscire a farsi ragione, se non ricorrendo alla dietrologia di comodo o alla facile ironia giocata intorno alle contraddizioni più appariscenti (tipo il leader dei rivoltosi che gira in Jaguar).
Ora, è chiaro a tutti, e a me per primo, che in un movimento così spontaneo e articolato possono annidarsi eterodirezioni e strumentalizzazioni, che opportunisti e mestatori possono cavalcare o perlomeno affiancare la protesta con fini precisi, che magari si discostano dalle vaghe intenzioni di chi scende in strada e monta i blocchi. Ma, per una volta, non mi interrogherei sui pochi che stanno dietro e che hanno una strategia; credo invece che sarebbe meglio concentrarsi sulla massa, su chi esprime la rabbia e dà spessore alla sollevazione, mosso da vive ragioni personali e non dall’obbedienza ai presunti disegni di qualcuno che forse spera di tirare i fili.
La verità è che quel che vediamo oggi nelle piazze è il perfetto ritratto dell’Italia che si è andato componendo negli ultimi anni. Un’orda di cittadini sfiduciati e delusi, privi di prospettive, abbattuti e depressi, ma anche in grado di covare un risentimento troppo a lungo represso e pronto a esplodere, senza più un referente istituzionale (Grillo incluso) capace di offrire una reale prospettiva di cambiamento. Una massa acritica, ma incazzatissima, che ha in sommo spregio tutta la classe politica e le sue appendici, i potenti a vario titolo e persino quei “garantiti” che hanno la sola colpa di riuscire ancora a esercitare quei pochi diritti che alla maggioranza sono negati ogni giorno.
Questa è l’Italia che i romanzi, i racconti e le raccolte che abbiamo pubblicato in tre anni ci avevano descritto con chiarezza impietosa. Tutti i sentimenti e le frustrazioni che oggi esplodono, li ritroviamo in forma letteraria nei nostri titoli. Penso, ovvio, soprattutto, alle uscite mensili del Narrativo Presente, dove, e lo avevo già segnalato, ogni tema lanciato è stato interpretato dalla maggior parte degli autori (pubblicati e non: controllate gli archivi sull’Agora) in chiave univoca, pessimista e arrabbiata nel contempo. Ma penso anche a quanto ritroviamo nei romanzi di Autodafé: da uno degli ultimi usciti, Trauma di Stato, con la disperante visione di una Milano sotto ogni soglia di civiltà, fino, per risalire agli inizi, alla amara rassegnazione del laureato-precario delle Nausee di Darwin, in cui l’ironia della narrazione non cela, ma accentua, la condizione del protagonista. E via via con tutti gli altri romanzi e le raccolte di racconti; anche laddove i temi appaiono più sfumati, il senso di tracollo etico, la mancanza di speranza, la rabbia pronta a sfogarsi, l’assenza di fiducia nella politica traspaiono con impietoso nitore.
So per certo che, personalmente, molti dei nostri autori non provano alcuna simpatia per i movimenti di questi giorni. So bene che, per loro cultura e formazione, preferirebbero affrontare i gravi problemi del paese attraverso un’analisi ponderata delle cause, facendo leva sul raziocinio e sulla proposta costruttiva anziché sulla reazione istintiva e distruttiva. Però, con la loro capacità di guardarsi intorno e narrare la società contemporanea, questi stessi autori ci hanno restituito, con disarmante precisione, il ritratto di questa Italia qua, cioè quella che vediamo oggi nelle piazze e per le strade. E, leggendo le loro produzioni letterarie, veniva semmai da chiedersi quanto avremmo dovuto attendere per vedere una manifestazione e uno sfogo di questo tipo. Non se, ma quando: perché era inevitabile che accadesse.
I politici, si dice, vivono in una condizione privilegiata, sotto una campana di vetro, senza più contatto con il paese reale. Vero. Ma se almeno avessero letto qualcuno dei nostri romanzi o dei nostri racconti, anziché rifarsi all’eterno ciclo comunicativo autoreferenziale con cui a vicenda si alimentano, anche senza uscire dalle loro stanze si sarebbero fatti un’idea dei sentimenti del popolo sovrano. E, oggi, eviterebbero quantomeno di essere preda di un’imbarazzante afasia.


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