Trovare la chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini potrebbe essere una sorpresa per chi non conoscesse la storia dell’Arciconfraternita e dell’ospedale. Per visitarla bisogna infatti oltrepassare la guardiola di sicurezza dell’ospedale, accedendo a quello che, nel passato, doveva essere un ampio cortile. Ma gli spazi si sono ridotti e tutto è diventato caos: automobili parcheggiate, medici in camici bianchi che scorrazzano qua e là, uomini e donne che fanno visita ai propri cari. Tutto collabora a rendere quel luogo un cortile d’ospedale. La meraviglia sorge però quando si alza lo sguardo e ci si accorge che a dominare il caos c’è una chiesa. La facciata della Santissima Trinità dei Pellegrini, realizzata su progetto di Carlo Vanvitelli, si impone con potente grazia, con la sua doppia scalinata e le due statue in stucco di San Gennaro e San Filippo Neri, scolpite da Angelo Viva, validissimo scultore che opera a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, noto anche per aver eseguito alcuni restauri sulla statua del Nilo. A completare la quinta scenografica di quel teatro del disordine c’è la scritta sull’architrave:
TEMPLUM UNI TRINOQUE DEO DICATUM
Tempio consacrato a Dio uno e trino
La facciata possedeva anche un pregevole gruppo in stucco della Trinità che oggi è possibile ammirare nella sede della confraternita.
L’interno della chiesa può inizialmente lasciare spiazzati per la sua pianta particolarmente complessa e inusuale. Essa è composta da due ottagoni che corrispondono alla navata e al coro, divisi da un rettangolo che coincide con il presbiterio (parte della chiesa dedicata al culto, dove si trova l’altare maggiore). Questo assetto è frutto di una lunga serie di modifiche che la chiesa ha subìto.
Navata con cupola e altare
Facciamo un passo indietro, quando la chiesa, prima di essere tale, era l’Oratorio della Trinità dei Pellegrini. Vi si ritiravano in preghiera solo i confratelli, e aveva una pianta sviluppata in lunghezza con tre cappelle per lato, un presbiterio e un coro nella zona retrostante. Nel 1704 l’oratorio divenne chiesa, ma questa risultava essere troppo piccola per una regolare attività di culto e di carità. Per tale motivo i confratelli decisero di modificare la chiesa, dandole un nuovo assetto. I lavori furono affidati a Giovanni Antonio Medrano, l’architetto di Sciacca (in Sicilia) che aveva lavorato anche per il Teatro San Carlo e per la Reggia di Capodimonte. Il suo lavoro nei cantieri della chiesa durò fino al 1751, e della sua opera ci rimane la Terrasanta e la pianta ottagonale del coro.
Nel 1771 i lavori per il rinnovamento della chiesa passarono ad un altro apprezzato architetto: Giuseppe Astarita, esponente partenopeo del tardo barocco. I suoi progetti e i successivi lavori non riscossero il successo desiderato, e la confraternita sostituì Astarita con Carlo Vanvitelli, figlio di Luigi, che decise di abbattere la chiesa cinquecentesca salvando il coro e parte del presbiterio. Oggi ammiriamo l’intervento vanvitelliano nella grande navata il cui soffitto risulta avere una cupola ribassata e affrescata. Di pregevole fattura è anche il pavimento settecentesco in marmo bianco e bardiglio, mentre ai lati sei altari sfoggiano altrettante tele seicentesche rimaneggiate per il nuovo assetto della chiesa.
L’altare di Mario Gioffredo e la Trinità in stucco di Angelo Viva
Nel presbiterio Vanvitelli dilatò lo spazio in altezza, inserendovi le statue in stucco della Trinità, realizzate dal già citato Angelo Viva, e rimaneggiando lo splendido altare in marmi policromi disegnato da Mario Gioffredo, richiesto architetto della seconda metà del settecento napoletano. Ad impreziosire il tutto contribuiscono le tele di Giacinto Diano, altro esponente illustre della pittura napoletana del Settecento detto o’Puzzulaniello perché nativo di Pozzuoli.
Ormai il coro ospita pochi confratelli dediti alla preghiera, ma suggestiva è l’immagine di uomini in tunica rossa raccolti su stalli (sedili) di radica settecenteschi, dediti al canto e alle orazioni, alla presenza di un piccolo e preziosissimo crocifisso in avorio. Entrare oggi nel coro rimane un’esperienza suggestiva, soprattutto quando si alza lo sguardo e, tra gli stucchi dorati, si notano i dipinti di Paolo de Maio (I Quattro Evangelisti) e Francesco De Mura (Santissima Trinità con Madonna), entrambi allievi di Solimena.
Madonna con Santissima Trinità di Francesco De Mura
Prossimamente vi parleremo delle tele della navata, del loro restauro e del complesso museale della cronfraternita.
Foto Francesca Perna