Carla Bariffi, RAPSODIA IN ROSSO, Cfr 2013
Dico a fiamma bianca, perché “è l’azzurro che vince / mediatica punta meridiana / perpendicolare”, p. 18, ricerca di una semplificazione che mi sembra possa riassumersi in un pensiero sull’assenza: “L’assenza non è nello sguardo / del cane che implora / l’assenza è metallica lama / che affonda e rimuove”, p. 11.
Questa poesia, allora, sembra camminare lungo il sentiero periglioso di infinite conoscenze che sono trappole e strumenti nello stesso tempo; contempla e riflette, si mostra brevemente in lasse indipendenti, spesso di splendente saggezza. Sono lacerti che contengono un erotismo naturale, contemplazioni paesaggistiche, le rive di un lago, i suoi colori che trascolorano nel tempo; ma anche le infinite polluzioni di uno spazio stracolmo di materia, dove pur si situa il nostro, quanto utile non lo sappiamo, desiderio di conoscenza: “Chi dedica la vita all’ascolto / sacrifica una parte del reale (del sé?) / – vive in bilico – / tra due mondi sconosciuti”, p. 34.
È evidente che, questo genere di poesia, prima o poi finisce per investire il senso stesso della scrittura, la sua essenza e la sua radice. La Natura, si dice in un passaggio, è pervasa dal Pneuma, quindi da un istinto ad essere partendo da forme primordiali a cui, forse, riesce a sottrarsi solo il pensiero di un bambino: “Disincarnato frutto / la conoscenza del bambino / la sua energia-guida / verso l’enigma delle cose”, p. 20.
Eppure, anche nella trasgressione dell’io formato, che vorrebbe ritornare ad essere bambino non più ingenuo, partendo da tutta l’esperienza della vecchiaia, questa rapsodia vuole proclamare la possibilità di partecipazione, del miracolo del Tutto che esiste e felicemente si disperde, malgrado noi stessi.
“La grazia / conosce la trama del fiore / nel petalo rosa il mio rosa / nel rosso che goccia il mio sangue / la spina che spingi / e lo sai”, p. 36.
Sebastiano Aglieco
Var 2014
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L’altrove è un luogo costruito
nella mente e nello spirito.
Penso questo mentre cerco
la mia penna preferita.
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La percezione cambia
quando semini il distacco dalle cose
e la mente stira i passi dentro l’ombra
che attraversa ogni pensiero.
Realtà è ciò che comprende
il tuo campo visivo.
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Ogni tuo silenzio
è sfida
raccoglie dal buio
- Scintille -
le sparge sul lago,
lo incendia.
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Pascal ci aveva visto giusto;
il malessere degli uomini deriva da una sola cosa:
non sapere stare soli in una stanza.
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Un’immensa nostalgia
si appropria del mio cuore
lo tinge di un ocra che cola
sbavato sul crinale cristallino
dell’occhio.
Si strappa e si riflette
brevemente
nell’orbita dell’acqua.
Ma è l’azzurro che vince
mediatica punta meridiana
perpendicolare
tra le strette falangi del mio pugno.
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Ogni calligrafia raccoglie imperfezioni
che non vanno dimenticate.
Esse definiscono una mappa
che accorpa passato e presente
nella forma che il destino ci tramanda
nei secoli dei secoli.
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Negli occhi si spegne
l’azzurro remoto del giorno
e palpita il nero.
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Siamo mutevoli come animali
ma anche come i fiori
che non sempre mostrano
la gioia di un pistillo
o il gambo piegato dal vento.
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È il silenzio
che domina il pianeta
non la musica o il canto
“il suono in senso pieno”
ma il silenzio – sterminato – di Dio.
Da qui nasce il pensiero e i sillogismi
e tutto ciò che lega
l’ossario della pelle all’universo.
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La mia religione è nel verde
dell’acqua che culla e traspare
in ogni pensiero che sfiora
la mia ricordanza.
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Nel momento stesso in cui accade
ogni cosa è condannata all’aporia
l’abisso risucchia ogni verbo
disossandone la carne.
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È nella tua lingua
che la mia lingua prende
la forma perfetta del suono.
Beve la goccia scavata
nel cono di luce;
lo assimila e lo scopre.