Carla Paolini - Installazioni (fisicità poetiche) - Anterem edizioni / Cierre
Di Carla Paolini ho già parlato brevemente su Imperfetta Ellisse (v. QUI) quasi otto anni fa, a proposito di un suo interessante poemetto intitolato "Elettroshock", e lì parlavo tra l'altro di linguaggio condensato, che "coagula ulteriormente attorno a parole affini o parenti", di "dramma per impulsi", in un travaglio poetico in fondo al quale "rimane una sineddoche di sè, un nucleo indivisibile e irrinunciabile, "una sola parte per il tutto", come, io credo, una decantazione della vita stessa". Rammento queste cose proprio perchè occorre, a mio avviso, ripartire da lì, o meglio ancora partire - che sotto molti aspetti è la stessa cosa - dalla dichiarazione di poetica che apre questo volume. Dice infatti Carla: "La materia di Installazioni non nasce dall' occasionalità degli eventi, ma dall'interesse che improvvisamente una parola mi smuove. Intorno a questo embrione energetico, il pensiero struttura e specializza nuove sintassi. La sostanza espressiva si diffonde, disseminando segmenti come linfonodi messi a difesa delle sue intenzioni. L'organismo poetico addensa fisicità singolari, s'installa sulla pagina e accetta l'urgenza di esistere". Ricordo vagamente che anche Stefano Guglielmin aveva in passato espresso un concetto analogo a proposito del suo lavoro di poeta: l'appunto, anche una singola parola deposta a stagionare su qualche foglietto anche per molto tempo, magari capace poi di generare quasi per partenogenesi l'idea poetica, il testo, la definitiva messa in atto di qualcosa che stava lì, in nuce. E' un aspetto della "ispirazione" che mi ha sempre affascinato e di cui io stesso ho esperienza diretta, una indefinita capacità neoplastica della parola, quasi differente e distinta da una voluntas, che rimanda direttamente alla poiesi del linguaggio, qualcosa che ha a che fare con la psiche dell'autore e forse con il lavoro del linguaggio sul linguaggio, per dirla con Stefano Agosti. E ci sarebbe probabilmente da riflettere anche sul trattamento delle parole come "oggetti", manipolabili o osservabili. Ma inutile andare troppo lontano, fermiamoci qui. Però della dichiarazione di Carla bisogna notare almeno un paio di cose a mio parere importanti. La prima riguarda lo stesso titolo (non casuale) della raccolta, un termine dalle diverse sfaccettature: l'installazione innanzi tutto rimanda a una precisa categoria artistica concettuale, a un riferimento ad un'arte visiva le cui caratteristiche siano almeno la tridimensionalità e la collocazione in un ambiente, al di là dei mezzi, delle forme e dei materiali (e vediamo poi come questa caratteristiche tentino nella scrittura una loro evidenza); e poi "installazione" è il porre la parola su uno stallo, uno scanno, (come ricorda acutamente Gio Ferri nella postfazione) ovvero un luogo privilegiato e "religioso", meditativo e racchiuso come negli antichi capitoli monastici, "lasciando fuori dal coro ogni seppur turbato ma freddo sentimento estraneo alla parola..." (sempre G. Ferri). Come si vede, tutto sembra tornare. L'altra cosa deriva direttamente dalla prima e riguarda il carattere anti-occasionale di questa scrittura (e qui si ritorna al "concetto"), cioè sostanzialmente il rifiuto di qualsiasi ispirazione per così dire "fanciullesca", o emotiva, o sentimentale, sempre a favore di una "durezza" della parola, che è specchio della difficoltà di penetrare la stessa materia di cui è fatta la nostra comunicazione e la realtà circostante, tentando di scoprire cosa (forse) c'è dietro quello schermo illusorio di cui parla Montale in "Forse un mattino andando" (v. QUI). C'è con ogni evidenza anche una ricerca per così dire combinatoria, delle possibilità di scomposizione, ricomposizione ricollocazione dei sintagmi, delle catene sintattiche, pur sempre però a partire da quel "embrione energetico" di cui parla Paolini (ma l'autrice avverte che solo si può "ridisporre ciò che è disponibile"). E c'è, io credo, un meccanismo associativo, legato non tanto ad assonanze o ad assimilazioni linguistiche o a "giochi" (ma l'autrice raccomanda: "date voce / al filare aspro delle polifonie") quanto a un filo rosso da ricercarsi a livelli più profondi, a un sistema metaforico di tipo cognitivo in cui agiscono più profonde "culture", forze più nascoste. Ma anche, aggiungerei, alle probabilità metamorfiche, virtualmente aperte, di sostituzione senza danni, che questo tipo di scrittura offre anche a chi legge. Naturalmente gli estimatori della scrittura automatica o effusiva, quella in cui l'autore è un medium o una Pizia delegati dalla Poesia, dovranno mettersi l'anima in pace. Qui, non ostante il casus che sembra muovere il meccanismo, non c'è molto lasciato all'arbitrio. O almeno niente che poi non sia regolarmente riportato all'ordine, a un suo intimo significato. E se c'è una piccola contraddizione negli intenti di Carla caso mai sta qui, nella impossibilità oggettiva, direi tecnica, di realizzare quella "urgenza di esistere" dell'organismo poetico di cui lei parla, un concetto che sta tra l'idea romantica di una poesia vivente, pre-esistente e quella michelangiolesca dell'opera che c'è ma deve essere estratta a colpi di scalpello. Il registro è semmai quello che Gio Ferri chiama un "raro distacco formale". Che a livello di stampa (e qui si torna al discorso di dimensionalità e collocazione dell' installazione) si esplica anche come tipizzazione grafica (corsivi, grassetti, diversi corpi carattere) e interazione spaziale con la pagina bianca (versi non-versi, spezzature, stacchi, diversi tipi di giustificazione), alla ricerca insomma di una consistenza materica (e il sottotitolo è infatti "fisicità poetiche") che naturalmente alla parola non è data. Come noto, raramente le dichiarazioni di intenti, specie in poesia, conseguono l'obbiettivo prefissato. Direi però che in questo caso Paolini, partendo con un'idea chiara in mente, con un programma (e anche con la curiosità di vedere dove l'idea va a parare), riesce egregiamente a costruire una specie di lessico di base che funge da innesco o scandaglio se si vuole, come un sasso gettato nello stagno. E anche se talvolta "quando cade / è un sasso che non solleva spolveri d''acqua" (segno di un deserto dell'esistenza, dei rapporti, etico che tuttavia deve essere investigato) è un tentativo irrinunciabile che il poeta, per sua natura, deve fare. O tacere, diventare pietra installata in quel deserto. (g.c.)
PATEMI
patemi per voce solista
paturnie notturne impacci
cosine smorte lasciate sul palmo
come strisciature ai blocchi di partenza
seguono le trombe in sordina
radunate nei poteri familiari
sono fluttuazioni in fronte alla prevalenza
a volte qualcuno si scavalca
guarda lontano
zero attimi dopo ricomincia a morire
un'intesa regolare
non è detto che abbia delle ragioni
quando si associa al realismo ingenuo
per tenere in ordine i suoi materiali
non è indispensabile la reciprocità
nessuno pretende scambi vitali
né si richiedono reazioni palpitanti
per simulare consciamente
basta atterrare nel reparto adiacente
dove si svende amabilmente
IL MIRAGGIO
- il miraggio -
va assaporato fra due trattini
gustato sotto foschie innevate
non insistiamo per avere contatti
la sua distorsione non è per condividere
getta un cenno improvviso di presenza
prospetta le sue simbiosi
al fondo scivoloso del tempo
può apparire in via eccezionale
anche in punta all'albero di natale
NON LASCIATEMI
non lasciatemi solo a NY
salvatemi dalla sindrome della bellezza
da questa turbativa illiberale
che giganteggia impunita in fondo all'orizzonte
squarciata da sbalzi che hanno campo
nell'inciso dell'affaccio
incomprensibile proposito di declinazioni
miracolante aggressione costruita in abisso
fate che la sua voce non intoppi
le mie distaccate presunzioni europee
TI STAI
ti stai centrifugando per perdonare
ma l'offesa è materia lavica
con ceneri di ricaduta
contaminate dall'impronta
è un cono di trame brucianti
serbate fra la pomice inconsunta
che forma il calco e la sua ripetizione
superflua l'altra guancia
per promulgare giustificazioni
giostrate solo dietro sipari sedativi
AL PUNTO
al punto esteriore piacciono i giochi
gli piace l'unirsi nelle piazze
ha una passione per l'eccesso turbinoso
le roteazioni
gli scambi che sgusciano dall'arco palpebrale
cura le imbronciature di sobbalzo
nega la dottrina dei corpi non allenati
segnando le loro falle col bianchetto
nei giorni di festa si veste solo
con uno spicchio di luna sulla spalla
QUANDO
quando arriva un sintomo a sorpresa
non è detto che la diagnosi sia infausta
dietro la targhetta del camice
l'analisi può rintracciare
appigli per una scoperta fascinosa
audacemente d'accesso
che scarti l'incontro di dolore
o offra
propensioni lusinghiere composte su misura
per indagini intenzionali cognitive
SCEGLIERE
scegliere il movimento sull'immobilità
sembra un innesto contro lo sterile
uno scandaglio
connaturato a reazioni di passaggioù
ogni singola persuasione
per implacabile processo di spostamento
plana su aree tematiche non coincise
avvertite nel crepuscolo della retina
come moti in fuga da una meteora
che sta collassando in sé