Volterra – Monte Voltraio
Per me le groppe tondeggianti avevano qualcosa di riposante e di familiare, le punte aguzze erano invece inquietanti e minacciose. Monte Voltrajo aveva appunto la forma di una piramide. Scrutavo nel buio, ma non riuscivo a distinguere nulla. E intanto, non guardavo dove mettevo i piedi, e più volte inciampai, e una volta caddi. A un certo punto il monte si profilò: si svelava adagio, pareva ora che si espandesse, ora che si affilasse. Tacevo. La macchia nera era come un’enorme bocca spalancata. Poi, continuando noi ad avanzare, il monte scivolò lontano, appiattendosi, e la punta si smussò.
L’alba portò preoccupazioni di diverso genere. Ci aveva sorpresi ancora fuori dal bosco, e anelavamo di raggiungerlo e di addentrarci in esso, per essere al sicuro da ogni possibile sorpresa da parte degli uomini.
La salita ci aveva nascosto i progressi del giorno. Giunti sul crinale, le fronde stormivano leggermente all’aria, e il sole ci colpì con la sua fresca luce leggera. Ci fermammo a fare colazione in una carrareccia incassata […].
Mi stesi per guardarmi intorno più comodamente. Leccioli isolati si drizzavano sul ciglione; le radici sporgevano tra il sasso vivo e la terra smottatata. In fondo un dorso boscoso emergeva in una fetta di luce. La nebbia svaporava lenta nel diaframma di un raggio. Mi levai in piedi. L’aria purissima, odorosa, invitava a partire verso paesi sconosciuti.
( Carlo Cassola, Baba, 1946 )
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