Caro diario,

Creato il 10 marzo 2013 da Povna @povna

Caro diario,
la settimana scorsa abbiamo portato la prof. ‘povna e la prof. Ingegnera Tosta per tre giorni a Venezia. E’ stato un viaggio molto bello, anche se un po’ stancante, perché badare a due professoresse 24 ore al giorno per 3 giorni può essere tremendamente faticoso. Ci siamo ritrovati il lunedì in stazione, puntuali alle 9 con valige e zaini. La prof. ‘povna, però, si è accorta che aveva dimenticato a casa una delle molte medicine che doveva prendere. Per fortuna che avevamo un po’ di tempo, e Weber e il Panda sono andati a cercarla in farmacia. Saliti in treno, nelle due ore per Venezia, le prof. sono state abbastanza tranquille. E’ vero: la prof. ‘povna ha seminato sotto il sedile vari documenti e il biglietto; e la prof. Ingegnera Tosta ha perso le monetine raccolte per la caparra dell’albergo. Ma per fortuna ci hanno pensato a ritrovarle Cirillo Skizzo e Soldino.
L’albergo era a due passi. Il signore alla Reception sembrava un po’ Mangiafuoco, tutto burbero: ma quando gli abbiamo fatto capire che le due prof., anche se buffe, erano due persone a posto, per fortuna si è sgelato. Abbiamo passato il pomeriggio girelloni, camminando per Venezia: e bisogna dire che tutte e due si sono comportate benissimo. A parte una certa tendenza a partire per chilometri, non le abbiamo dovute quasi mai sgridare. Siamo tornati in albergo verso le sei e mezzo, e abbiamo avuto per un’ora tempo libero: a giudicare dall’affanno che avevano quando ci siamo ritrovati per andare al ristorante, le due pazze devono essere andate a spasso da sole, senza dircelo, rischiando anche di perdersi. Ma, visto che alla fine erano arrivate puntuali, come detto, abbiamo deciso di non infierire. Non si erano nemmeno cambiate per la cena, a dirla tutta, ma anche lì abbiamo finto che non fosse nulla: si sa che i prof., con quelle loro valigine stitiche, in gita diventano un po’ tanti zozzoni.
Dopo cena, noi volevamo andare in albergo a riposarci, ché la giornata era stata di già abbastanza lunga. Invece no, le prof. volevano uscire, e andare a zonzo. Si erano messe in testa di voler cercare, e bere, il vino caldo. E – che dire? – a noi poveri ragazzi è toccato far buon viso, e pedalare.
“Andiamo a piedi, che il posto più animato è qui a due passi” – abbiamo detto.
Ma no: “Pensate che bello, Venezia sul canale di notte!” – hanno esclamato convinte. E dunque tutti a bordo, senza appello. E, per controllare che non succedesse nulla, Mr. Mao, Riccia e Grande Giovanni se ne sono dovuti stare a prendere il vento a prua insieme con loro.
Siamo scesi a Ca’ Rezzonico, e abbiamo iniziato a girare tutti i locali, cercando il vino maledetto. Ma non l’aveva nessuno (come era prevedibile). Così, in campo S. Margherita, le prof. si sono arrese e ci siamo potuti sedere tutti quanti in un pub per qualche tempo. Noi, ovviamente, abbiamo preso una birretta. Loro si sono adattate, bontà loro, a un tè col miele.
A quel punto, si erano fatte le dieci e mezzo. E hanno acconsentito a rientrare in albergo.
“Il vaporetto è di là” – abbiamo indicato la strada per l’imbarco.
E loro (impunite): “Ma no, dai, la distanza non è molta. Facciamo una bella passeggiata, e andiamo a piedi!”.
Una volta arrivati, volevamo goderci il meritato riposo, che ci sembrava solo giusto. Per fortuna, sia la prof. ‘povna, sia la prof. Ingegnera Tosta, dopo la buona notte, se ne sono state tranquille e brave nella loro stanza; e noi non abbiamo dovuto più pensare a loro.
Anche il giorno dopo, durante la visita alle isole, sono state brave, nel complesso. Il problema è arrivato però a metà del pomeriggio. Cirillo Skizzo si è sentito male (si era preso l’influenza). Ma le due prima si sono messe a fare i capricci (e non volevano rientrare in albergo). Poi, quando hanno capito che la cosa era seria (finalmente), hanno tirato fuori la loro vocazione infermieristica. E quindi giù di tachipirina, e mani sulla fronte, e di termometro. Per la verità, per badare a Cirillo, Weber bastava e avanzava, e aveva la situazione in pugno. Però abbiamo preferito non dire niente, e dare loro l’illusione di darsi da fare.
Il pomeriggio è finito così, tra un accudimento e l’altro. Poi ce ne siamo andati a cena. Dopo, stava iniziando a piovere; e noi quasi abbiamo giubilato: “Questa volta si va in albergo!”.
E invece no: ecco che le due prof. si impuntano. “Non vogliamo tornare in stanza, è troppo presto! Dai, su, facciamo una passeggiata fino a quella gelateria buonissima, dietro la Ca’ d’Oro”.
Che dire, tanto obiettare è inutile. Gambe in spalla, cappucci tirati su, ombrelli aperti. Cercavamo di andare un poco avanti, per far finta di non conoscerle. Ma loro ci raggiungevamo sempre, e alla fine ci siamo arresi.
Per fortuna che la notte si sono comportate bene come il primo giorno. E noi, una volta che le abbiamo messe a letto, abbiamo potuto socializzare con alcuni colleghi alunni venuti dall’Abruzzo, con i quali abbiamo scambiato esperienze e visioni della vita.
Mercoledì era già tutto orientato sul ritorno. Pioveva che dio la mandava: acqua sopra e acqua sotto. Ci siamo riparati ai Musei dell’Arsenale, che erano abbastanza divertenti. E le due prof. – avvilite da tutto quell’umido – se ne sono state buone.
Al momento di partire abbiamo controllato bene che non perdessero soldi e biglietti, questa volta. E poi ci siamo messi sul treno, a mangiare due troiai e ascoltare un po’ di musica. All’arrivo alla Stazione Nota, le due prof. si sono lanciate come il vento: “Dai che perdiamo la coincidenza!”. Per seguirle, siamo saliti col fiatone, sul treno quasi in corsa (ma per fortuna che a contarci ci ha pensato Piccolo Giovanni – e non si sa come eravamo tutti e salvi).
Ci siamo salutati sul binario della Città della Scuola, dove finiva il nostro compito. E poi ci siamo avviati verso casa e verso il letto, ché dopo tre giorni a badare a loro, ininterrottamente, sentivamo il bisogno di un meritato riposo.

I Merry Men


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