Nell’intervista al “Corriere della Sera” è emerso un insolito vero rispetto per le persone di fede, non così evidente altre volte. Ha spiegato di essersi allontanato dalla fede cattolica dopo aver avuto «l’esperienza di incontrare il male peggiore di cui soffra l’umanità, il cancro». Certo, il motivo è comprensibile, il dolore e la sofferenza gratuita possono generare scandalo per chi vi sta di fronte in modo forse superficiale, limitandosi a registrare la propria reazione. Ma possono anche diventare il motivo per abbandonare l’ateismo e convertirsi al cristianesimo, come accaduto all’oncologo americano, collega di Veronesi, Stephen Iacoboni. Se, infatti, l’agnosticismo amplifica ed esaspera l’ingiustizia del dolore innocente, perché lo priva automaticamente di un significato ultimo, il cristianesimo è l’unica posizione umana che offre la forza di starvi di fronte senza scandalo. Gesù Cristo non ha dato la soluzione definitiva al male e alla sofferenza, ma innanzitutto l’ha condivisa con l’uomo facendosi mettere in croce e poi ha offerto se stesso come risposta. Risorgendo ha detto all’uomo: anche la sofferenza più grande, come quella che ho patito io, è una condizione per una pienezza maggiore: «chi vuol venire con me, prenda la sua croce e mi segua». Si può vivere nel dolore ed arrivare ad amarlo, ad essere lieti e grati nel cuore, se è possibile a tanti cristiani allora lo scandalo per il male non è l’ultima parola.
Veronesi ha poi citato come altro motivo di scivolamento verso l’agnosticismo l’aver vissuto «il secolo scorso, il secolo del dolore, delle guerre mondiali, della Shoah, di torture e violenze inaudite. Mi sono chiesto: come mai un Dio buono può permettere tutto questo male?». E’ la domanda di tanti, ma perché imputare a Dio il male generato dall’uso sbagliato della libertà da parte degli uomini? Il Novecento è stato proprio l’esempio di cosa voglia dire vivere senza Cristo, il primo secolo ateo, come è stato definito. Non a caso se l’Unione Sovietica era ufficialmente guidata dall’ateismo di stato, il nazismo si ispirava spiritualmente al paganesimo anticristiano. La domanda andrebbe quindi rivoltata: “come si può, dopo il ’900, ancora credere nell’uomo senza fare affidamento a Dio?”. Il premio Nobel Aleksandr Solzenicyn, martire del comunismo sovietico, ha affermato alla fine della guerra: «la principale causa della rovinosa rivoluzione che ha inghiottito quasi 60 milioni di russi non potrei definirla in maniera più accurata che ripetendo: “Gli uomini hanno dimenticato Dio, perciò tutto questo è accaduto”».
Veronesi spiega: «mi sono convinto che ognuno debba costruirsi i propri principi, e non farseli costruire da un ente superiore». E’ proprio quello che hanno fatto gli intellettuali nazisti, è proprio quello che fanno oggi gli estremisti islamici. Come può una morale laica, abbandonata evidentemente al relativismo, pretendere di giudicare quali principi siano “più veri” (verità oggettiva?? Da quando esiste?) di altri. Con quale autorità Veronesi concederebbe a tutti di crearsi i propri principi e comportarsi di conseguenza, tranne che ai capitalisti cinesi, agli islamici estremisti e agli uomini indù che dividono la società in caste, i quali invece dovrebbero sottostare ai principi creati, non da un ente superiore, ma da Umberto Veronesi e dall’Occidente (cristiano)?
«Ai miei figli», ha spiegato Veronesi, «ho insegnato a passare dalla triade tradizionale dell’etica, quella di “Dio, patria e famiglia”, a una di valori nuovi, “libertà, solidarietà e tolleranza”. In questi valori mi pare vi sia tutto il comportamento dell’uomo morale». Non si sa quali figli però, infatti come ha spiegato la moglie, «un pomeriggio prima di Natale chiesi ad Umberto di accompagnarmi a cercare i regali per i nostri figli. Mi rispose che era impossibilitato, aveva molto da lavorare in ospedale. Mi avvia da sola in giro per i negozi. A un tratto in piazza San Babila lo vidi ridente sotto braccio alla sua compagna, che andavano assieme a far compere per il loro bambino…mi sentii raggelare e mi vennero le lacrime agli occhi». Evidentemente la triade “libertà, solidarietà e tolleranza”, parole tanto care ai giacobini francesi che in loro nome ghigliottinavano tutti quelli che erano in disaccordo, non è servita molto ad Umberto per comportarsi moralmente, così come non serve a nessuno. Nessuna triade è sufficiente, nemmeno “Dio, patria e famiglia”! I principi morali non bastano, non spiegano perché, se esiste solo questa vita bisognerebbe essere coerenti con essi se si è più felici e ci si avvantaggia comportandosi in altro modo. Occorre andare oltre all’uomo, serve il rapporto affettivo con il Padre, al quale si obbedisce per propria convenienza o per semplice fiducia in Lui, così come il figlio fa con il proprio genitore. Solo in un rapporto ha senso l’obbedienza.
Veronesi conclude infine con una frase che va molto di moda «non credo in Dio ma credo nell’uomo», perché egli avrebbe fatto «balzi da gigante, centocinquant’anni fa negli Stati Uniti del Sud linciare un nero era quasi accettato, gli ultimi roghi degli eretici risalgono a 2-300 anni fa. L’uomo sta prendendo coscienza, secondo me». Eppure lui stesso ha ricordato quel che combinava l’uomo emancipato, l’uomo nuovo, fino a pochi anni fa: il razzismo verso i neri è stato sostituito da quello verso gli ebrei. L’uomo non si emancipa da solo, crea solo nuove imposizioni che lo liberino da quelle precedenti. Lo scrittore Francesco Agnoli ha infatti risposto: «Veronesi crede nell’uomo, nonostante i gulag e i lager, e forse, anche a ragione di essi, non crede in Dio; io non credo nell’uomo, che per dare a tutti la felicità, senza Dio, ha creato i gulag, e credo in Dio, grazie a uomini (che mi fanno credere anche nell’uomo). Veronesi è a favore dell’aborto (uccisione di un uomo piccolo da parte di un uomo grande); crede nella bontà della clonazione (uomo grande che fotocopia uomo piccolo); crede nella bontà dell’utero in affitto (persone ricche affittano l’utero di povere)… Cosa intenda, in concreto, per “credere nell’uomo”, mi sfugge…»
La redazione