La prima parola che mi è venuta in mente visitando la mostra che la galleria Colossi Arte Contemporanea dedica ad Elena Monzo (sino all'11 febbraio 2016, Brescia, Corsia del Gambero 13, info@colossiarte.it) è stata sincretismo. Ma da brava esegeta delle fonti l'artista riesce a incarnarla in creazioni i cui antecedenti non sono immediatamente riconoscibili se non in un impasto che nonostante l'aspetto pop ha il sapore di cose antiche Vediamo intanto chi è Elena Monzo: vive tra Brescia e Milano e diplomata all'Accademia di Brera nel 2004 subito vince il Premio Italian Factory per la giovane pittura italiana. Da allora ha costruito un curriculum di buon pedigree, non indulgendo a facili mode ma raggiungendo pressoché da subito una cifra caratteristica, a prima vista leggera e attuale ma non carina né educata (cosa che giustamente Luca Beatrice ha rimproverato a gran parte della produzione dei giovani artisti)... Le sue opere guardano fondamentalmente la donna. Ed è una scelta di campo difficile soprattutto per un'artista donna che rischia di cadere nelle trappole dell'autoreferenziale o del narrativo, dell'umorale o del dolore di cui solo le donne sanno rivestirsi. Ecco rivestirsi altra parola chiave del lavoro della Monzo che prende la donna dura e spigolosa ridotta ad anima da Schiele e la riveste di carta velina (fragile tegumento!), glitter (illusorio scintillio!), timbri (appartenenza effimera), tessuti e texture giocando molto bene e con passione la lezione della veloce rielaborazione di forme e materiali del pop. è il titolo di questa personale curata da Rebecca Delmenico. Un veloce galoppo del tratto, un giro di valzer viennese, un giro di giostra da cui non si può scendere e che Elena corsa dopo corsa con lo stesso biglietto arricchisce del suo mondo che è padano (forse nella nebbia che sembra ricoprire il colore) e altrove ( nelle esperienze che la vedono in giro per il mondo, in residenze d'artista a Kurashiki, in Giappone, nel 2013, allo Swatch Art Peace Hotel di Shanghai, in Cina e ad Ain Zhalta, Beirut, in Libano, nel 2014) sognando altri viaggi e altre avventure. Mille le trame da osservare, i riferimenti da cogliere, in uno spiazzante rincorrersi di pieno e di vuoti, di dolore e ironia. La realtà -sembra dire l'artista- è che non riuscendo a portare in giro l'anima nuda ci siamo ridotte a tribù metropolitana e sulla pelle nera da motard vestiamo perline e piume navaho...Sperando.