Carta, penna e calamaio

Creato il 23 giugno 2012 da Af68 @AntonioFalcone1

Papà, e allora?
E allora, figlio mio. Ci eravamo andati vicino. Ci vuole pazienza.
Cosa vogliamo fare! Perbacco!
Questo deve essere un cliente.
Non guardare. E’ capace che si mette in soggezione e non si ferma
”.
Papà, posso andare?
Un momento. Lei lo sa dove sta la stazione?
“ E chi ci c’entra la stazione? Sonjo vinuto per scrivere una lettera!”
Corri, va’!
“Una lettera de carta, sa’…”
E perché, le lettere si scrivono di porcellana?
“Eh, non si può sape’…”
Dunque. Lei è ignorante?
“Io? Sì.”
Bravo, bravo. Viva l’ignoranza! Tutti così dovrebbero essere…
“Eh…”
E se ha dei figliuoli, non li mandi a scuola, per carità!
“No, io figli nun tengo…”
Li faccia sguazzare nell’ignoranza!
“No, io tengo nu cumpare nipote: proprio per lui devo scrivere la lettera, sai…”
Bravo. A lui? Quanti anni ha questo compare?
“Tiene quarantacinque anni…”
Quarantacinque?. Eccola qua. Questa va benissimo”.
“E cos’è questa?”
No, vede: noi le lettere le scriviamo prima, di modo che, quando viene la persona…
“None! Tu non sai che debbo scrivere qui dentro!”
Va beh, non vuol dire: guadagniamo tempo“.
“E che sai, li fatti miei?”
Ma scusi: lei m’ha detto che suo nipote compare ha quarantacinque anni…
“Eh, quarantacinque anni…”
Questa lettera io l’ho scritta tre anni fa per un signore che ne aveva quarantadue“.
“E stu signore che è? Lu cumpare mio?”
Non vuol dire! Ma gli va bene…
“None, paisa’, non me piace…”
Ma gli andrà bene…
“Ma none!”
La vuole da capo?
“Proprio da capo”.
Scriviamola da capo. Lo facevo per lei: lei con questa lettera economizzava…La vuole nuova? Facciamola nuova!
“Bravo”.
Siamo qui apposta… Dunque. Vuol dettare, per cortesia?
“Scrivi”.
Sì…
“Napole…”
Eh… Avanti… Napoli… eccetera eccetera eccetera… Sissignore“.
“Caro Giuseppe cumpare nipote…”
Beh… caro Giuseppe…
“E’ mio cumpare e mio nipote”.
Va be’, vuole che… Beh… Caro…
Caro…
Giuseppe…
“Cumpare…”
Compare nipote… sì… sì…
“A Napole… a Napole stocio facendo la vita de lu signore”.
A Napoli…
“Stocio facendo…”
Stocio… Stocio… Io stocio, tu stoci… Non esiste questo”.
“Non te piace stocio?”
Sto! Io sto! Che me fai scrivere?
“E’ più corto, eh…”
Me fai scrivere stocio… Ah, santo Iddio, come se fa… come se fa…
“ Paisa’, chistu lu vestito l’hai cumprato io, eh… e mu stai facendo cangiari i culuri, eh… Pago sempre io…”
Ah, bravo… bravo… Paga sempre lei: bravo! Peppeniello! Quelle pizze diventano due! Dica, dica…
“Alla sera me ne vaco a lu tabbarene…”
Bene. Alla sera me ne vado…
“Me ne vaco a lu tabbarene…”
Me ne vado…
“E me ne esco quanti chiode…”
Quanti chiodi?
“Quanti chiode. Ma che, sta chiovenno ignostro, paisa’?”
Quanto chiodo?
“Chiodo, sì: chiodono l’imposte, va’…”
Ah. Quando chiude!
Eh, dice chiodo… Chiude, chiude!
“E per questo…”
E per questo… Mi dica il pensiero, così…
“Mandame…”
Mandami…
“Nu poco de soldi…”
Per questo mandami un po’ di so…
“Perché nun tengo nemmeno li soldi per pagare la lettera a lu scrivano che me sta scrivendo la lettera presente…”
E poi?
“ E poi… Mettece li saluti… Ponto”.
Ma ch’e saluti e saluti!?
“E che?”
Ma che saluti e saluti!? Vai via, mascalzone! Vai via!
E ringrazia Dio che non tiro il calamaio perché mi serve!
“E che..”.
Chiodo… ponto… stace… Mi fa perdere del tempo inutilmente!
Papà, le pizze sono pronte: dammi i soldi”.
E che soldi e soldi? E che pizze e pizze? M’è passato l’appetito… Non voglio mangia’ più. Tieni, vai dal cavaliere e speriamo che anche stavolta ci aiuti!

Dialogo tra lo scrivano Felice Sciosciammocca(Totò), suo figlio Peppeniello (Franco Melidoni), in attesa dei soldi per poter comprare una “pizzella” e un villico (Leo Brandi ), il secondo cliente della giornata, volendo considerare nel novero un passante che si era fermato poco prima al tavolo per una semplice informazione: fame atavica, equivoci e spruzzi d’inchiostro, il film è Miseria e nobiltà, 1954, regia di Mario Mattoli, soggetto tratto dall’omonima commedia di Eduardo Scarpetta, 1888.


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