Cartagine inquilina in Sardegna? Quanto versava nelle casse sarde?

Creato il 09 ottobre 2014 da Pierluigimontalbano
Cartagine inquilina in Sardegna? Quanto versava nelle casse sarde? 
di Rolando Berretta

Non si capisce il punto di vista di chi ci ha propinato una grande Cartagine, nel VI a.C., fino alla stipula di un trattato con Roma dove si rivendica il possesso cartaginese della Sardegna, ossia una grande Cartagine in piena espansione militare, padrona del Mediterraneo. Per capire che qualcosa non va è sufficiente visionare sull'atlante dove i Focesi fondarono Massalia e quanto fosse imortante commercialmente. Nessuno li ostacolò, non gli Etruschi, non i Cartaginesi e nemmeno i Sardi.
Per essere sinceri ci provarono i Cartaginesi con questi risultati:
Tucidide (I 13 6), i Focesi, appena fondata Massalia, vincevano i Cartaginesi.
Pausania (X 18 6), quelli dei Focesi che occupavano Elatèia (o Elatea, nella Focide; in Grecia) mandarono a Delfi un Leone d’oro in onore di Apollo dopo la battaglia navale contro i Cartaginesi. Giustino (XLIII 5 2), i Marsigliesi spesso sbaragliarono gli eserciti dei Cartaginesi poiché era scoppiata la guerra tra loro a causa della cattura di navi da pesca e, dopo averli vinti, concessero loro la pace. Vittorie confermate dalle offerte votive a Delfi (iscrizione SIG 12; questa iscrizione paleografica è databile intorno al 525 a.C. (n.d.a. i Massalioti erano già alleati di Roma).
Se aggiungiamo la visita di Dorieo, direttamente in Africa nel 525 a.C., possiamo dire che non fu un secolo di espansione e di successi.
I Cartaginesi erano talmente messi male che non avrebbero potuto soddisfare le richieste di Cambise che, infatti, se la legò al dito.
Il fondo della favola si è raggiunto quando si è spacciato l’Amilcare di Imera per un figlio di Magone. Era il 480 a.C. ed Erodoto è stato chiaro scrivendo che quell’Amilcare era figlio di Annone e di una Siracusana. Occorre una riflessione in merito.
Dopo la Battaglia del Mare Sardo, nella quale un gruppo di Focesi giunto da Focea, sbaragliò le flotte dei Tirreni e dei Cartaginesi e, infine, approdò in Basilicata (forse non accolto dagli altri Focesi). Si legge che Etruschi e Cartaginesi si spartirono la Corsica e la Sardegna. E con quale diritto? A seguito di quale evento? Questa è una fantasia incomprensibile, una proposta priva di quel rigore storico che dovrebbe sempre essere applicato.
Passiamo ai trattati.
Tito Livio racconta che quando Roma fu incendiata dai Galli, andarono persi tutti i documenti scritti. Inoltre, di questi trattati, oltre Polibio, si occupò anche Tito Livio che scrive che se Alessandro Magno fosse giunto in Italia si sarebbe trovato contro Roma e Cartagine, legate da vetusti trattati, senza specificare quali fossero. Dice Vetusti, cioè lontani nel tempo. Nel 348 a.C. vennero a Roma, ed era la prima volta, gli ambasciatori cartaginesi per stipulare un trattato di amicizia e alleanza. Ciò è confermato anche da Diodoro Siculo: Consoli a Roma: Marco Valerio e Marco Popilio... in quell’anno per la prima volta fu stipulato un trattato tra Roma e Cartagine (XVI 69).
Diodoro, cronologicamente, è in ritardo di 5 anni perché è il 343 a.C. Dopo la vittoria sui Sanniti, gli ambasciatori Cartaginesi tornarono a Roma per felicitarsi e portarono una corona d’oro di 25 libbre (messa nel Campidoglio) per felicitarsi della terza vittoria sui Sanniti, a Suessula, a opera di Marco Valerio. Erano passati cinque anni, era il 343.
Tito Livio: Consoli a Roma erano Marco Valerio Corvo (III consolato) e Aulo Cornelio Cosso. Tornarono nel 306 a.C. e, per la terza volta, fu rinnovato il trattato di amicizia e alleanza. Tito Livio parla di 3 viaggi degli ambasciatori Cartaginesi e parla di un trattato (quello del 348 a.C.) di amicizia e alleanza, e dei suoi rinnovi. Cosa c’è di complicato?
Mentre gli studiosi discutono sul secondo trattato, che sarebbe il terzo, evitano di parlare di quelli vetusti che implicano rapporti al di fuori del quadro storico conosciuto. Ci saranno altri trattati, ancora, ma Tito Livio sottolinea, non entrando nei dettagli, le 3 visite degli ambasciatori perché questo era l’evento da segnalare. Quello del 509 a.C. di Polibio è uno di quelli Vetusti, o è l’unico? Per quanto riguarda l'arrivo di Pirro, Tito Livio ne parla, solo, nel sommario del XIII. Polibio li accorpa in un unico pezzo mentre Livio lo descrive nell’anno interessato. T.Livio (sommario) VII 27 Et cum Carthaginiensibus legatis Romae foedus iuctum cum amicitiam ac societatem petentes venissent. VII 38 (i Cartaginesi tornarono a Roma per congratularsi...ma non si parla del trattato...si sottolinea altro) IX 19 (si evidenzia lo sforzo comune di Roma e Cartagine per una ipotetica visita di Alessandro Magno. (...et farsitan cum et foederibus vetustis iuncta res Punica Romanae esset et timor par...) IX 43 Et cum Carthaginiensibus eodem anno foedus tertio renovatum legatisque eorum , qui ad id venerant , comiter munera missa. ( PER LA TERZA VOLTA FU RINNOVATO IL TRATTATO AI CARTAGINESI. NON SI PARLA SICURAMENTE DI UN TERZO TRATTATO MA DEL RINNOVO DI QUELLO DEL 348.
Vediamo tutto il pezzo.
Eodem anno aedes Salutis a C.Iuno Bubulco censore locata est, quam consul bello samnitium voverat. Ab eodem collegaque eius M.Valerio Maximo viae per agros publica impensa factae. Et cum Carthaginiensibus eodem anno foedus tertio renovatum legatisque eorum, qui ad id venerant, comiter munera missa.
Per i puristi c'è la traduzione di Antonio Pischedda:
"Nel medesimo anno il tempio della Salute che il Console aveva eretto per voto durante la guerra dei Sanniti è stato dato in appalto dal Censore C.Giuno Bibulco. Dal medesimo e dal suo collega M.Valerio Massimo sono state fatte attraverso pubblica spesa le strade attraverso la campagna. E nello stesso anno per la TERZA volta fu rinnovata l’alleanza ai Cartaginesi ed ai loro ambasciatori che erano venuti appositamente per questo".
T.Livio XIII (sommario) Cum Cartaginiensibus quarto foedus renovatum est (era il 277 a.C. anno del passaggio di Pirro). Per capire i trattati in questione bisognerebbe analizzare il contesto storico/cronologico della loro stesura. Siamo nel 509/8, Roma ha cambiato forma di governo. Sono stati allontanati i Re e, sotto i primi Consoli, si rivedono tutti i trattati fatti precedentemente. In questo contesto vanno ricercati i vetusti trattati che segnala Tito Livio. Di trattati da rivedere ce ne dovrebbero essere più di uno. Nel 348 a.C. per Livio, 343 a.C. per Diodoro (tra i due ci sono quasi sempre 5 anni di differenza ma se si cercano i Consoli si supera facilmente questo ostacolo). Cartagine sbarca in Sicilia sotto il comando di Annone. Gli ambasciatori Cartaginesi, per la prima volta, si recano a Roma, e fu concesso un trattato. Era al I Consolato Marco Valerio Corvo. Le operazioni finiscono malamente per Cartagine e, secondo Diodoro, nel 339 a.C. Giscone firma la pace con Timoleonte. Gli ambasciatori Cartaginesi tornano a Roma: li segnala Tito Livio nel 343 e, con la scusa di felicitarsi della vittoria Romana sui Sanniti, portarono una corona d’oro.
Ma cosa volevano veramente?
Era il III Consolato Marco Valerio Corvo. Sappiamo da Diodoro che Timoleonte vietò ai Cartaginesi di portare aiuti ai Tiranni siciliani contro Siracusa. Tutte le città greche, in Sicilia, tornarono libere e che il confine dei Cartaginesi era il fiume Lico. Detto questo passiamo a Polibio e alla sua versione. Polibio si è meravigliato che a Roma e a Cartagine non si era conservato il ricordo della sua scoperta. Dice Polibio (III 22): Il primo trattato tra Romani e Cartaginesi fu concluso, dunque, ai tempi di Lucio Giuno Bruto e Marco Orazio (Pulvillo n.d.a), i primi consoli in carica dopo la cacciata dei re, quelli che consacrarono il tempio di Giove Capitolino. Ciò avvenne 28 anni prima del passaggio di Serse in Grecia. Trascrivo più sotto il testo del trattato che ho cercato di interpretare con la maggiore esattezza possibile, ma tanta differenza intercorre fra la lingua arcaica dei Romani e quella attuale che solo specialisti esperti, dopo attento esame, riescono a stento a capire.
Prima di proseguire vorrei esporre il mio pensiero. Fu fatto il primo trattato nel 348 a.C. e nel 343 si stilò il nuovo documento del rinnovo e la copia del vecchio fu archiviata. Ai tempi di Pirro ci fu il terzo rinnovo e la copia del secondo rinnovo fu archiviata. Credo che Polibio abbia trovato l’archivio delle vecchie copie, nel quale erano conservati anche quelli vetusti, e abbia tirato le sue conclusioni. Questo è il testo di Polibio:
"A queste condizioni vi sarà amicizia fra Romani e i loro alleati e i Cartaginesi e i loro alleati. Né i Romani né gli alleati dei Romani navighino oltre il promontorio di Kalos a meno che non vi siano costretti da un fortunale o dall’inseguimento dei nemici. Chi vi sia costretto a forza, non faccia acquisti sul mercato, nè prenda in alcun modo più di quanto gli sia indispensabile per rifornire la nave o celebrare sacrifici e si allontani entro 5 giorni. I trattati commerciali non abbiano valore giuridico se non sono stati conclusi alla presenza di un banditore o di uno scrivano. Delle merci vendute alla presenza di questi, il venditore abbia garantito il prezzo dello Stato se il commercio è stato concluso nell’Africa settentrionale o in Sardegna. Qualora un Romano venga nella parte della Sicilia, in possesso dei Cartaginesi, goda degli stessi diritti degli altri. I Cartaginesi , a loro volta, non facciano alcun torto alle popolazioni di Ardea, di Anzio, di Laurento, di Circeo e Terracina, nè di nessun’altra città dei Latini soggetta a Roma. Si astengano pure dal toccare le città dei Latini non soggetti a Roma e qualora si impadroniscano di alcuna di esse, la restituiscano intatta ai Romani. Non costruiscano in territorio latino fortezza alcuna, qualora mettano piede nel paese in assetto di guerra, è loro proibito passarvi la notte". 
Adesso Polibio aggiunge i suoi commenti che valgono come tali (III 23). Il promontorio di Kalos (Calos) è quello che si trova proprio di fronte a Cartagine, rivolto a Settentrione. I Cartaginesi, a mio parere, proibirono ai Romani di procedere oltre, in direzione sud, con le navi da guerra poichè non vogliono che questi conoscano nè le località della Bisside nè quelle della piccola Sirte, luoghi che essi chiamano Empori per la fecondità della regione. Se qualcuno, spinto qui a forza, o da una tempesta, o dai nemici, ha bisogno di qualcosa che gli è necessario per i sacrifici o per la riparazione dell’imbarcazione, gli permettono di prendere queste cose, ma nulla di più. Esigono che coloro che sono approdati ripartano nel giro di cinque giorni. Era concesso ai mercanti Romani di recarsi per i loro commerci a Cartagine e in tutta la costa della Libia al di qua di capo Calò, nonché in Sardegna e in quelle parti della Sicilia che si trovano sotto la giurisdizione dei Cartaginesi. Questi assicurano che i loro diritti saranno garantiti. In questo patto, i Cartaginesi danno l’impressione di parlare della Sardegna e della Libia come territori propri. Per quel che riguarda la Sicilia essi fanno, in modo esplicito, considerazioni di tipo diverso, riferendo il patto solo a quelle parti della Sicilia che cadono sotto il dominio dei Cartaginesi. Allo stesso modo anche i Romani riferiscono il patto solamente al territorio Latino e non fanno menzione del resto dell’Italia, visto che non cadeva sotto la loro autorità. Questo è il secondo trattato per Polibio, privo di datazioni (III 24). Dopo questo fu stipulato un altro trattato, nel quale i Cartaginesi inclusero Tiro. Gli Uticensi aggiunsero, al promontorio di Calos, Mastia e Tarseio. Si vietava ai Romani di predare e fondare città oltre questi luoghi. 
Il trattato suona all’incirca così: 
"A queste condizioni si stipula un trattato di amicizia tra i Romani e gli alleati dei Romani con i Cartaginesi, i Tirii, il popolo di Utica e i loro alleati. Oltre il promontorio di Calos, Mastia e Tarseio, i Romani non esercitino la pirateria, nè il commercio, nè fondino città. Qualora i Cartaginesi si impadroniscano di una città dei Latini non soggetta ai Romani tengano le ricchezze e gli uomini, ma restituiscano la città. Qualora un Cartaginese riesca a catturare qualcuno che sia vincolato ai Romani da un trattato di pace scritto, ma non sia loro soggetto, non lo faccia sbarcare in porti romani; se ce lo avrà condotto e un Romano metterà la mano sopra di lui, il prigioniero dovrà essere lasciato libero. Lo stesso valga per i Romani. Se da un territorio in possesso dei Cartaginesi un Romano prenderà viveri ed acqua, non se ne serva per offendere alcuno che sia legato ai Cartaginesi da vincoli di pace e di amicizia. Lo stesso valga per i Cartaginesi. In caso contrario non sia punito privatamente, ma l’offesa da lui arrecata sia ritenuta pubblica. In Sardegna e in Libia nessun Romano commerci nè fondi città (e qui c’è un bel buco nel testo)...e non vi rimanga più di quanto occorra per imbarcare provviste o riparare la nave. Se vi sarà stato spinto dalla tempesta, si allontani da quei luoghi entro cinque giorni. Nella parte della Sicilia soggetta ai Cartaginesi e in Cartagine stessa ogni Romano può agire e commerciare liberamente, con parità di diritti coi cittadini. Lo stesso valga per un Cartaginese a Roma". 
A questo punto Polibio aggiunge il suo commento e si arriva a fare una bella frittata. Di nuovo in questo trattato rivendicano a sè la Libia e la Sardegna appropriandosene e vietando ogni accesso ai Romani mentre, per quel che riguarda la Sicilia, fanno chiare precisazioni di tipo diverso, riferendo il patto a quella parte loro soggetta. Lo stesso fanno i Romani riguardo al Lazio: stabiliscono che i Cartaginesi non devono fare ingiustizie agli abitanti di Ardea, di Anzio, di Circeo e di Terracina. Queste sono le città che racchiudono i confini dalla parte del mare della regione latina di cui tratta il patto. In questo commento vengono ritirate in ballo Ardea, Anzio, Circeo e Terracina che non figurano in questo trattato ma sono citate nel testo del primo. Ricordiamoci di queste città: Anzio (Cenone) dei Volsci Anziati fu presa da Tito Numicio Prisco nel 463. Terracina (ANXUR) nel golfo tra il M.Circeo e Gaeta fu presa nel 406, per la prima volta, dal Tribuno Militare, con potere consolare, Gneo Fabio Ambusto. Fu ripresa nell’inverno del 400 a.C., freddo record: il Tevere gelò; navigazione impossibile. Se qualcuno pensa che in un trattato del 509 a.C. Roma possa tirare in ballo Anzio e Terracina non mi trova assolutamente d’accordo. Tutto questo per dire che Cartagine, nel 508 a.C., pagava l’affitto del suolo occupato mentre Roma viveva in attesa del ritorno di Tarquinio il Superbo e di Porsenna con tanto di esercito. Non riesco a immaginare le due città intente a spartirsi l’Italia e il Mediterraneo. Forse, se si rivedessero gli avvenimenti del 349 a.C. per Livio e del 344 a.C. per Diodoro, con i testi dei trattati di Polibio davanti, e integrando il tutto con quanto riporta Giustino, tutto sarebbe chiaro. 
Nell'immagine: Una Navicella battuta all'asta da Christie's

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :