di Rolando Berretta
Dal Museo Virtuale Galileo:
Noto come quadrans vetus, questo quadrante, proveniente dalle collezioni medicee, è uno dei tre quadranti superstiti medievali di questo tipo (gli altri sono uno al Museo di Storia della Scienza di Oxford, l'altro al British Museum di Londra). Presenta due traguardi su uno dei lati dritti. Sulla faccia recta si trovano il quadrato delle ombre, le linee orarie e un cursore zodiacale mobile nella sua guida, da posizionare secondo la latitudine desiderata; nel verso è inciso il calendario zodiacale. Lo strumento presenta caratteri gotici. Destinato a misurare altezze, distanze e profondità, lo strumento poteva essere impiegato anche come orologio solare universale. Un quadrante molto simile è documentato in un disegno di Antonio da Sangallo il Giovane (c. 1520?) conservato presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi.
Diciamo che, con questi strumenti, si poteva determinare la latitudine nord di qualsiasi località con il solo puntamento verso la Stella Polare; oppure puntando il Sole, a mezzogiorno ma conoscendo il periodo dell’anno. Era possibile conoscere l’ora solare sapendo dove era ubicato il Sud e calcolando la differenza in gradi con la posizione reale del Sole. Ogni ora il Sole percorre 15°. Bastava un po’ di pratica.
L’argomento è presentato, in maniera esauriente, su diversi siti Internet. Basta navigare.
Passiamo adesso ai Quadranti illustrati dal Planisfero Castiglioni del 1525 e da quello di Diego Ribeiro del 1529. Ho già segnalato, per i due lavori, la differente grafia della S maiuscola che evidenzia due scuole diverse. Il Planisfero Castiglioni è opera fiorentina.
Restiamo ai quadranti.
Osserviamo attentamente questi ultimi due e quello Vetus dei Medici.
Salta all’occhio che questi ultimi sono girati a specchio e che lo Zodiaco è stato disegnato esternamente. Le effemeridi sono state modificate.
Adesso provate a chiedervi il perché di questa bizzarra raffigurazione. Allora?
Provo a spiegarvi il mio punto di vista.
Prendete il primo quadrante, o uno similare, e andate sull’altro emisfero. Adesso avrete il Sole di mezzogiorno a settentrione. Provate a traguardare la Croce del Sud oppure provate ad utilizzare le varie costellazioni dello zodiaco. E’ tutto cambiato. Come dire: quei tipi di quadranti vanno bene per il nostro emisfero. Per l’altro non servivano a nulla.
Ed ecco la progettazione di un nuovo quadrante per l’emisfero australe. Quest’ultimo può averlo ideato solamente un grande navigatore che aveva navigato in quei mari. Mi viene in mente un certo Amerigo Vespucci che lasciò in eredità tutto il suo materiale scientifico al nipote Giovanni.
Questo quadrante teorico non fu mai realizzato; si passò direttamente al Sestante e alla sua scala di 180°.
L'argomento trattato dall'amico Rolando Berretta è di notevole rilevanza. Ogni appassionato di navigazione (dal surf alla Cooppa America) è un piccolo esploratore e per avere un'idea di cosa ci sia dietro un'uscita in mare occorre riflettere su un punto: il mare è più forte di noi e siamo obbligati a rispettarne la potenza.
Aggiungo alcuni miei spunti personali per inquadrare i problemi derivanti dalla mancanza di strumenti adeguati.
Nota di Pierluigi Montalbano:
La navigazione antica seguiva princìpi rivoluzionari e la conoscenza era figlia dell'esperienza. Si sperimentava e, se i risultati funzionavano, si applicava. Non si buttava via nulla e i servizi segreti dell'epoca erano ben pagati. Quando un sovrano, o un comandante, voleva mettere nei guai un rivale, non esitava a fargli trovare carte sbagliate. Quando la navigazione divenne una disciplina quasi scientifica...le carte vennero analizzate secondo metodi più acuti e gli errori (voluti o meno) saltarono all'occhio. Oggi la professionalità, almeno in questo campo, è sostituita dagli automatismi nautici e da meccanismi elettronici in grado di governare una barca a vela di 30 metri con il semplice utilizzo di una tastiera. Ma un tempo ci si fidava ciecamente delle carte e i guai erano sempre frequenti.
Fino a tre secoli fa, ogni viaggiatore esperto sapeva calcolare la latitudine dei luoghi, ma difficilmente riusciva a ricavare la longitudine. Anche nella costruzione delle carte c'era questo problema perché non c'erano strumenti precisi per calcolare il tempo, ci si basava sul movimento del sole. Il primo strumento fu la clessidra, costituita da due ampolle di vetro riempite con sabbia che, scorrendo da una all'altra ampolla, determinano un intervallo minimo di 5 min. Purtroppo per il calcolo della longitudine servono frazioni più piccole, inoltre c'è da considerare il tempo impiegato per rovesciare la clessidra, visto che nel frattempo la terra gira. Inoltre il materiale che scorre dentro risente delle condizioni climatiche e, soprattutto, nella navigazione c'è il problema della salsedine e del movimento della nave. Era difficile fare il punto della rotta. Si pensò di utilizzare la polvere di mina (grafite) al posto della sabbia, perché è meno influenzabile dal clima, ma anche così era una determinazione empirica soggetta a piccoli errori. Per evitare di addormentarsi, i marinai incaricati di tenere il tempo, lavoravano in coppia e facevano turni brevi; inoltre, a bordo si utilizzavano più clessidre. Per la cartografia la misura del tempo ha sempre creato problemi nella longitudine: a volte i problemi portavano vantaggi, come quando Colombo scoprì l'America visto che aveva erroneamente calcolato l'estensione da est verso ovest pensando che fosse molto più breve. Nel 1700 fu inventato dagli inglesi il cronometro marino di precisione, anche se già dal 1500 si utilizzavano orologi meccanici che però avevano problemi di precisione se venivano utilizzati in navigazione per i meccanismi in legno e ferro, sensibili alle condizioni atmosferiche e alla salsedine. La svolta inglese avvenne a causa di un tragico incidente, quando un naviglio mercantile, sbagliando il calcolo della longitudine, si infranse contro un arcipelago di isole nel 1707. Era di ritorno dalle Americhe e il naufragio causò la morte di 2500 marinai. La Royal Navy, ammiragliato britannico, ottenne lo stanziamento di 20.000 sterline per chi avesse costruito un orologio marino capace di mantenere il tempo con un errore massimo di 20'. John Harrison,un falegname che fabbricava anche orologi per chiese, per 20 anni lavorò al progetto e costruì un cronografo marino tuttora funzionante nel museo di Greenwich. La chiave vincente fu il mutamento dei materiali di alcune parti dell’orologio fino ad arrivare all'inserimento di rubini nei punti strategici dei meccanismi. L'orologio fu sperimentato e verificato nei viaggi di Cook in Australia, sorvegliato perché nessuno potesse modificarne il funzionamento, e al rientro a Londra, luogo di imbarco, l'errore fu solo di 5'. Uno dei suoi orologi fu utilizzato anche dal Bounty, il cui capitano era un botanico e sperimentalista che, visto un orologio di Harrison nelle navi di Cook, ne volle utilizzare uno anche nella sua nave. Alla fine del 1700 il problema della longitudine fu risolto.