Cartografia nautica. I toponimi del Mediterraneo nel “Compasso da Navigare”

Creato il 21 giugno 2014 da Pierluigimontalbano
I toponimi del Mediterraneo nel “Compasso da Navigare”. di Bianca Fadda, Università di Cagliari.

Nel 1947 Bachisio Raimondo MOTZO pubblicava il testo di un Portolano medievale custodito presso la Biblioteca dello Stato Prussiano di Berlino, il codice Hamilton 396; un testo anonimo, data­to 1296, intitolato Compasso da Navegare. Si tratta del più antico portolano relativo alla totalità del Mediterraneo che sino ad oggi sia stato rinvenuto. È un'opera italiana scritta in volgare, che non si può però definire toscano, genovese o veneziano, essendo frequenti i voca­boli catalani, provenzali, arabi e bizantini. Si potrebbe parlare, come disse il Motzo, di una "lingua franca" derivante dalla fusione di diversi idiomi e dialetti, che veniva parlata dai marinai di tutto il mondo lati­no per intendersi tra loro.  Il lavoro del Motzo non si è limitato alla pubblicazione di tale manoscritto, peraltro preziosissimo per la mole dei dati contenuti e per la sua originalità, ma è stato accompagnato da una lunga parte  introduttiva nella quale è stata affrontata la questione relativa all'origi­ne e al!'evoluzione dei portolani e delle carte nautiche che,  nati contemporaneamente, si completavano a vicenda durante la navigazione. Il Motzo annunciava inoltre l'intenzione di curare la stampa di altri tre portolani derivanti dal Compasso e far così un "Corpus" che evidenziasse il contributo fornito dall'Italia alla Storia della navigazio­ne. Si riferiva, in particolare, ai codici di Grazia Pauli (fine XIV seco­lo), di Carlo di Primerano (metà XV secolo) e di Giovanni da Uzzano (metà XV secolo), alcuni esemplari dei quali si trovano custoditi nella Biblioteca Nazionale e in quella Riccardiana di Firenze e nella Biblio­teca Universitaria di Cagliari. L’avanzare dell'età impedì al Motzo di portare a compimento il suo progetto, che si interruppe con la trascrizione dei tre manoscritti. Il codice Hamilton 396 - II cosiddetto codice Hamilton, è attualmente custodito nella Biblioteca dello Stato Prussiano di Berlino. Scritto su buona pergamena, misura cm. 21 x 14 e consta di 107 carte. La scrittura è una gotica libraria della fine del XIII secolo (1).  Riguardo al contenuto, esso si divide in tre parti. Nella prima sono descritte le coste da capo San Vincenzo in Portogallo a Gibilterra; seguono le coste della Spagna mediterranea, Francia, Italia, della penisola Balcanica fino ad Istanbul, dell'Anatolia, Siria, Palestina e ancora dell'Africa settentrionale fino a Capo Spartel, ed infine le coste atlantiche del Marocco fino a Saffì. Sono precisate le distanze tra le diverse località calcolate in miglia (2), sempre associate alle direzioni date in base alla rosa dei venti (o compasso) (3). Si trovano poi informazioni sui fondali marini, le correnti, le secche, i venti dominanti e sui procedimenti di attracco e sbarco. La seconda parte ha un doppio oggetto: da un lato raccoglie un gran numero di traversate o percorsi attraverso il mare aperto (pelei o pileggi) da un punto all'altro generalmente lontani di coste continentali e insulari, con menzione delle distanze e delle direzioni; dall'altro descrive il periplo delle grandi isole: le Baleari, la Sardegna, la Corsica, la Sicilia, le Egadi, le Eolie, Malta, Creta, Milo, Cipro. La terza parte, contenente la descrizione delle coste del Mar Nero, è sicuramente un'aggiunta successiva trovandosi dopo l'explicit. Il manoscritto è di origine italiana. Secondo il Motzo sarebbe stato composto in Toscana, più precisamente a Pisa. Infatti la descrizione delle coste catalane, di quelle francesi e provenzali, dell'Italia meridionale e dell'Adriatico è piuttosto sommaria, rispetto a quella delle coste liguri, toscane, corse e sarde. Ciò porta ad escludere Catalani, Francesi, Provenzali, ma anche Italiani del meridione e Veneziani. Due lunghi segni di richiamo al principio della carta 14, descrizione di Porto Pisano, e all'inizio della carta 15, descrizione di Monte Argentario con porto Ercole e porto Santo Stefano, che non hanno riscontro nel resto del manoscritto, lo riconnettono con la Toscana. Con tutta probabilità dovette appartenere ad  un navigatore pisano. Il fondo della lingua del Compasso, pur con infiltrazioni di altri idiomi e dialetti, è sostanzialmente toscano, non ripulito dall'uso letterario, ma così come era parlato dai marinai abituati ad andare di porto in porto. Il Compasso non comprendeva in origine la descrizione delle coste del Mar Nero. Se l'autore fosse stato un genovese non avrebbe di certo omesso di descriverlo, essendo fortissimi gli interessi genovesi in quel mare.
Il testo si apre con l'indicazione: "In nomine Domini Nostri Iesu Christi, amen. Incipit Liber Compassuum MCCLXXXXVI. de mense ianuari fuit inceptum opus istud". Ma si tratta della data della copia; il testo primitivo del Compasso, secondo il Motzo, sarebbe stato composto quarant'anni prima, esattamente tra il 1250 e il 1265. Rispetto all'originale, il testo presenta tutta una serie di aggiunte minori, di ampliamenti e rifacimenti, oltre a contenere non pochi errori dovuti alla trascuratezza dei successivi copisti e all'aver in più la descrizione delle coste del Mar Nero.
Dopo la distruzione per opera dei Pisani della Villa di Santa Igia nel 1258, la capitale del Giudicato di Cagliari venne trasferita sul colle che gli stessi Pisani chiamarono CHASTELLO DI CHASTRO.  Nel codice Hamilton 396 si ha l’indicazione generica di un castello cui viene attribuito lo stesso nome della città: castello de CALLARI per indicare la città. Nel Grazia Pauli ( fine XIV secolo- Biblioteca Nazionale di Firenze) si riporta il toponimo CHASTELLO DI CHASTRO per indicare la città, il castello e il porto. Quindi è lecito pensare che l’autore del manoscritto avesse delle cognizioni precise circa l’evolversi della toponomastica sarda sotto l’influenza pisana, probabilmente viveva e scriveva a Pisa
note (1) Trattasi del già citato portolano pubblicato da B. R. MOTZO sotto il titolo: Il Compasso da Navigare, opera italiana detta metà del secolo XIII. in: "Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Cagliari" (voI. VIII), 1947. Tutte le notizie qui riportare sono state tratte dall'opera sopraccitata.
(2) Si tratta di un'unità di misura non coincidente con quella omonima (mi­glio romano) utilizzata dai romani negli "Itineraria Scripta", e pari agli attuali 1480 metri, ma corrispondente a 5/6 (cinque sesti) di esso ossia 1230 metri, come ha sta­bilito all'inizio di questo secolo H. WAGNER in Der Ursprung der "Kleinen Seemàile" auf den mittefafterlichen Seekarten der ltaliener, Goningen, 1900.
(3) I dati di direzione da imprimere all'imbarcazione, sin dall'inizio di ogni rot­ta, vengono sempre forniti in base al sistema della rosa dei venti con l'orizzonte scisso in 128 direzioni. La necessità di ricorrere a tante direzioni era imposta dalle molteplici sfaccettature che la provenienza dei venti può assumere nel regime barico discontinuo e multiforme proprio del Mediterraneo. Le direzioni delle rotte vengono segnalate tra­mite otto venti principali: tramontana, greco, levante, scirocco, mezzogiorno, libeccio, ponente, maestro più otto venti intermedi…
Questo è il parere di Charles H. Hapgood – Le mappe delle civiltà perdute – mondo ignoto 2004.La carta Pisana. In questo caso il tipico schema portolano fu applicato a una mappa di qualità estremamente inferiore, per esempio una mappa che potrebbe essere stata tracciata nel Medioevo o copiata in maniera molto imprecisa da un portolano preciso. Quest’ultima supposizione è sostenuta dal fatto che il cartografo fece un pessimo uso dello schema portolano. Questo consisteva in due cerchi, ma il cartografo li disegnò di diametri diversi e così nemmeno una linea del suo nuovo schema risulta dritta.

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