Ancora pochi giorni e le temperature caleranno in modo drastico, quindi si rende opportuno iniziare a far scorta di gelati.
Il nostro paese sarà travolto dai consueti diluvi universali d’autunno che inonderanno le metropoli – la mia città prima della lista; dunque mi sembra il caso di preparare gli ombrelloni, e di effettuare la prova costume da bagno per verificare se la nostra silhouette ci permetterà di fare bella figura sotto la doccia dei temporali.
Il mio terzo romanzo – se mai un terzo romanzo ci sarà – non annovererà il freddo e l’inverno tra i suoi personaggi. Non ci saranno impermeabili, né sciarpe o coperte di lana. Considerato il fatto che, visto il prezzo del gas, con ogni probabilità nei prossimi mesi potrò permettermi solo poche ore di riscaldamento al giorno, ho pensato di lasciar perdere i termosifoni e di tenermi le ossa belle asciutte con le trame solari di una storia che, pur attraversando un intero trentennio, non esca mai dai confini della stagione balneare.
Ho posizionato nel mio studio il Juke Box del Vecchiottivalbar che continua a suonare i quarantacinque giri da spiaggia, ho stesso un telo di spugna sul parquet, e non appena i miei hobbies stipendiati mi lasceranno un po’ di tempo libero per dedicarmi alla mia vera professione non retribuita mi toglierò tutti i vestiti, intimo compreso (già che ci siamo, preferisco che la tintarella narrativa sia integrale), mi spalmerò sulla pelle la crema a protezione zero (scrivere significa esporsi a tutti i rischi possibili e immaginabili) e me ne andrò in vacanza dentro un faticosissimo lavoro di stesura.
Mi perdoneranno dunque i tre lettori di questo blog se, ogni tanto, anche a Novembre inoltrato mi vedranno scrivere di sedie a sdraio, sabbia, cabine col buco sulla parete per spiare le donne al cambio e altri bollori di luglio col bene che ti voglio.
In attesa del prossimo sole, sento il bisogno di scrivere tante cartoline da un luogo narrativo che ancora non c’è.